DANTE ALIGHIERI
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G10 - Ne li occhi porta la mia donna Amore |
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[Vita nuova, cap. XXI] 1. Poscia1 che trattai d’Amore ne la soprascritta rima2, vennemi volontade di volere3 dire anche, in loda di questa gentilissima, parole, per le quali io mostrasse come per lei si sveglia questo Amore, e come non solamente si sveglia là ove dorme, ma là ove non è in potenzia, ella, mirabilemente operando, lo fa venire4. 2. E allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Ne li occhi porta.
Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ciò ch’ella mira5; ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core, sì che, bassando il viso, tutto smore, e d’ogni suo difetto allor sospira6: fugge7 dinanzi a lei superbia ed ira8. Aiutatemi, donne9, farle onore. Ogne dolcezza, ogne pensero umile10 nasce11 nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide12. Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile13. |
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1 Poscia: Dopo. 2 soprascritta rima: precedente poesia [G9]. 3 vennemi volontade di volere: allitterazione in v e in t-d e figura etimologica con ridondanza («volontade di volere»). 4 e come… venire: e come non solo <l’amore> passa in atto (si sveglia) là dove è già in potenza (dorme), ma <come> essa, operando miracolosamente (mirabilemente) lo fa nascere (venire) <anche> là dove non è presente in potenza. Beatrice ha dunque una virtù soprannaturale che va oltre la qualità di causa efficiente che fa passare l’amore dalla potenza all’atto: essa è addirittura in grado di nobilitare i cuori che non sono gentili, facendo nascere l’amore anche dove esso non è presente nemmeno allo stato potenziale. Si tratta in sostanza di una sorta di creazione, attività di natura divina e non umana. 5 Ne li occhi… mira: La mia donna porta Amore negli occhi, per cui (per che) diventa (si fa) spiritualmente nobile (gentil) tutto ciò che lei guarda (mira). L’azione beatificante di Beatrice arriva a sostituirsi alla natura, facendo nascere con il suo sguardo la “gentilezza” anche là dove essa non esiste. 6 ov’ella… sospira: là dove essa passa, ciascuno (ogn’om) si gira verso di lei, e <Beatrice> fa tremare il cuore a chiunque essa saluta (cui saluta), sicché <costui>, abbassando lo sguardo (viso, latinismo), impallidisce (smore) completamente, e si pente (sospira) di ogni suo difetto. I sospiri, tradizionalmente considerati manifestazione di desiderio e di infelicità amorosa, diventano qui segno di pentimento religioso. 7 fugge: fuggono: verbo al singolare concordato per sillessi con una pluralità di soggetti, anche con la funzione di sottolineare la stretta correlazione fra di essi. 8 superbia ed ira: sono due peccati capitali, distrutti dalla vista di Beatrice; sono entrambi soggetti del verbo «fugge». 9 donne: costituiscono, come in Donne ch’avete intelletto d’amore, [G8b] il pubblico della poesia in lode di Beatrice. 10 Ogne… umile: sono le virtù contrapposte ai vizi nominati al v. 7. L’opposizione è sottolineata dal chiasmo: la dolcezza si contrappone all’ira e l’umiltà alla superbia. La forma «umile», con accentazione piana e non sdrucciola, è di derivazione provenzale. 11 nasce: nascono. Sillessi, come il «fugge» di v. 7. 12 onde… vide: per cui ne ha lode chi la vide per primo. Non è chiaro se si tratti di un riferimento generico, se l’espressione voglia indicare Dio o se si riferisca a un uomo (forse il padre di Beatrice, oppure lo stesso Dante). 13 Quel…gentile: Quel che essa appare quando sorride un po’ non si può dire né conservare nella memoria (mente), tanto è miracolo straordinario e nobile (novo miracolo e gentile; la disposizione aggettivo-sostantivo-aggettivo costituisce un’anastrofe). |
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G10 - Analisi del testo | |
Livello metrico Sonetto con rime incrociate nelle quartine e invertite nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, EDC. Questo schema metrico, che ricorre anche in altre rime della Vita nuova [G6b, G13b] presenta una serrata omofonia tra le rime delle quartine (qui rafforzata dal fatto che le rime in A e in B sono legate tra loro da consonanza). Nella prima terzina si succedono invece tre versi privi di rima, la cui disposizione simmetrica risalta solo dopo la lettura della seconda terzina; tra le due rime in C sono interposti ben quattro versi; l’effetto di rottura dell’omofonia è però temperato all’assonanza tra le rime in C e in E che ricalca quasi, all’interno di ogni singola terzina, uno schema di rima alternata. Livello lessicale, sintattico e stilistico Il sonetto è collocato subito dopo Amore e ’l cor gentil sono una cosa, rispetto a cui appare complementare. Rilevante, rispetto al testo precedente, è la rottura del rigoroso parallelismo tra ritmo e sintassi [G9]. Un unico periodo occupa i versi a cavallo tra prima e seconda quartina, imprimendo al testo un dinamismo estraneo all’impianto raziocinante e piuttosto schematico del precedente sonetto. La seconda quartina inizia con un «sì che», con cui viene accentuata la stretta dipendenza degli enunciati successivi da quelli che precedono. Il punto fermo non interviene alla fine della seconda quartina, ma dopo il settimo verso, lasciando spazio a un breve periodo orientato sul destinatario (v. 8), che fa da pausa nel discorso sugli effetti salvifici del passaggio di Beatrice. Lo stretto rapporto tra quartine e terzine è sottolineato dall’opposizione che, scavalcando appunto il v. 8, intercorre tra i vizi elencati al v. 7 («superbia e ira») e le contrapposte virtù di v. 9 («Ogne dolcezza, ogne pensero umile»); la connessione tra i vv. 7 e 9 è sottolineata dalla disposizione a chiasmo di vizi e virtù (a «superbia» si contrappone «pensero umile», mentre a «ira» si contrappone «dolcezza»); dopo l’enjambement di v. 9 il verbo «nasce», coniugato alla terza persona singolare ma riferito a una pluralità di soggetti, istituisce un nuovo rapporto con la quartina precedente (lo stesso costrutto presenta infatti il verbo «fugge» al v. 7); d’altra parte tra i due enunciati sussiste un altro chiasmo, dato che a v. 7 il verbo è prolettico rispetto al soggetto, mentre ai vv. 9-10 viene rispettato l’ordine consueto soggetto-verbo. A fronte dunque di una sintassi che tende all’asimmetria, proprio a metà del componimento la trama delle figure retoriche introduce una forza centripeta che ne sottolinea la serrata compattezza formale. Assai più lineare è la corrispondenza tra ritmo e sintassi nelle due terzine, occupate ciascuna da un periodo chiuso da un punto fermo. Qui è però lo schema metrico che, allentando come si è detto la trama delle omofonie, si incarica di evitare un eccesso di simmetria. Livello tematico Il rapporto di complementarità con il precedente sonetto è assai forte anche sul piano tematico. Si direbbe che, se nel sonetto Amore e ’l cor gentil sono una cosa il poeta ha voluto esprimere una concezione razionale dell’amore, costruita sul modello della canzone dottrinaria di Guinizzelli ed esclusivamente affidata alle categorie aristoteliche di potenza, atto e causa efficiente, in questo sonetto egli intenda, pur senza rinunciare a queste categorie filosofiche, concentrarsi sulla dimensione soprannaturale dell’azione della donna, capace di far nascere l’amore anche dove, secondo la dottrina esposta nella canzone-manifesto di Guinizzelli, ciò sarebbe stato impossibile. Un modello guinizzelliano è costituito ancora da Io voglio del ver la mia donna laudare [E2]). Dante però e si può qui ripetere quanto detto a proposito di Donne ch’avete intelletto d’amore [G8b] ha ormai approfondito la tematica della lode inquadrandola in un contesto di epifania sacra che era estraneo al primo Guido. Ne fa fede, tra l’altro, l’uso di un termine come «miracolo» (che compare qui per la prima volta nella Vita nuova). Il «miracolo» consiste nella capacità, propria di Beatrice e di nessun’altra donna, di creare le condizioni della “gentilezza” anche là dove esse non sussistano per natura. La figura di Beatrice si presenta dunque (nella prospettiva del poeta e non più solo in quella del narratore) come dotata di attributi che sono propri di Cristo e capace di compiere azioni “miracolose” nel preciso senso che esse non sono spiegabili secondo leggi naturali. In questo contesto il poeta insiste, nella seconda terzina, sull’ineffabilità degli effetti prodotti dal sorriso di Beatrice: essi non sono dicibili e non possono neanche essere ricordati («mente», come del resto lo stesso Dante chiarisce nella “divisione” del sonetto che non abbiamo riportato, ha il consueto significato tecnico di “memoria”). Dante recupera qui temi più propriamente cavalcantiani (come l’ineffabilità della bellezza femminile e l’incapacità della «mente» di comprenderla [E7]). Ma completamente diversi sono i presupposti filosofici della lirica dantesca. Lo testimonia, tra l’altro, il nuovo significato che egli conferisce a un termine quanto mai tradizionale della lirica amorosa come il «sospira» di v. 5, che non è qui connesso con un generico turbamento da parte dell’amante, ma con la coscienza, che nasce nell’animo del peccatore, della propria imperfezione spirituale. I materiali della lirica cortese si fondono dunque con quelli della cultura cristiana, con i quali sono giunti a una sintesi organica mai raggiunta dagli autori precedenti. |
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