DANTE ALIGHIERI
G16 - Una mirabile visione
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[Vita nuova, cap. XLII] 1. Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei1. 2. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente2. 3. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna3. 4. E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus4.

1 Appresso… di lei: Dopo questo sonetto (il riferimento è a Oltre la spera che più larga gira [G15], contenuto nel capitolo precedente e a cui questa prosa segue immediatamente) mi apparve una mirabile visione, in cui io vidi cose che mi fecero decidere (proporre) di non parlare più di questa <donna> benedetta fino a quando io potessi trattare di lei più degnamente. Il contenuto della «mirabile visione» che segue alla composizione del sonetto rimane indeterminato, anche in obbedienza alla “consegna del silenzio” che Dante si impone in attesa di maturare una poetica più degna dell’altezza del suo nuovo soggetto.

2 E di venire… veracemente: E io mi impegno (studio) veramente quanto posso per giungere a questo (cioè a parlare «più degnamente» di Beatrice), come essa sa (sae, forma con epitesi).

3 Sì che… d’alcuna: Sicché, se piacerà a (se piacere sarà di) colui che è la causa finale di ogni vita (a cui tutte le cose vivono, secondo la parafrasi di Contini; si tratta di una perifrasi per indicare Dio), che la mia vita duri per un numero sufficiente di anni (per alquanti anni), io spero di dire (dicer) di lei quello che non fu mai detto di nessuna <donna>.

4 E poi… benedictus: E, compiuta quest’opera (poi), voglia (piaccia a) colui che è signore della misericordia (sire de la cortesia; altra perifrasi per indicare Dio) che la mia anima possa andare <in Paradiso> a vedere la gloria della sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale nella gloria del cielo (gloriosamente) guarda intensamente la faccia (mira nella faccia) di colui che è benedetto per tutti i secoli (ancora Dio, designato con una formula liturgica). Si noti la ripetizione, prima in volgare e poi in latino, dello stesso aggettivo («benedetta»… «benedictus»), che istituisce un rapporto di omologia tra Beatrice e Dio. L’aggettivo «benedetta», sempre con riferimento a Beatrice, compare già all’inizio del capitolo [1].


G16 - Analisi del testo
Il brevissimo capitolo con cui si chiude la Vita nuova è articolato su una lineare successione dei tempi verbali all’interno dei periodi in cui è scandito. Si va dal passato («apparve», «vidi», «fecero» [1]), al presente («studio», «sae» [2]), al futuro («sarà» [3]). Il tempo presente ritorna in un verbo semanticamente proiettato sul domani («spero» [3]) e domina infine l’ultimo periodo, occupato dal presagio senza tempo della contemplazione della gloria celeste, nella quale Dante si aspetta di ritrovare di nuovo la sua donna, il cui sguardo osa ormai guardare in faccia lo stesso Dio [4].
È del tutto ovvio che questo capitolo rappresenti il punto più alto della consapevolezza, da parte del narratore, del significato mistico-simbolico della vicenda di Beatrice. Questa consapevolezza si esprime come sempre mediante richiami numerici e scritturali: il succedersi delle perifrasi per designare Dio (che sono significativamente tre: «colui a cui tutte le cose vivono» [2], «colui che è sire de la cortesia», «colui qui est per omnia secula benedictus» [4]); il richiamo scritturale contenuto nell’affermazione che Beatrice «mira ne la faccia» di Dio (il riferimento è a San Paolo, Corinzi, XIII, 12: «videmus nunc in speculo et in aenigmate; tunc autem facie ad faciem» [«Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia»]); la triplice occorrenza degli aggettivi «benedetta» [1, 4] e «benedictus» [4], riferiti a Beatrice e a Dio.
Ma in questo capitolo c’è qualcosa di più. Come nota De Robertis «la Vita nuova, apertasi con l’immagine del “libro della memoria”, si chiude su quella del libro da scrivere». L’immagine di Beatrice che guarda nella faccia di Dio sembra anticipare alcuni luoghi del Paradiso, in cui la donna rappresenta la teologia. È difficile dire se questa pagina contenga solo la generica enunciazione di un intento, o rappresenti un vero e proprio progetto di quel che sarà la Divina Commedia; difficile stabilire se essa possa essere stata aggiunta alla Vita nuova in un momento più tardo, quando il progetto del capolavoro si era già fatto chiaro al poeta. Sta di fatto che, di fronte all’altezza di una materia che si colloca ormai ai limiti dell’indicibile, Dante non ha scelto il silenzio ma ha accettato la sfida della parola; e che la battaglia della parola, per esprimere ciò che per sua natura non potrebbe esser detto, sarà combattuta fino in fondo – con esiti che sono tra i più alti dell’arte di tutti i tempi – con la Divina Commedia.