DANTE ALIGHIERI
G14 - La morte di Beatrice e il simbolismo del nove
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[Vita nuova, cap. XXVIII] 1. Quomodo sedet sola civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium1. 2. Io era nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n’avea questa soprascritta stanzia, quando lo segnore de la giustizia chiamoe questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella regina benedetta virgo Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata2. 3. E avvegna che forse piacerebbe a presente trattare alquanto de la sua partita da noi, non è lo mio intendimento di trattarne qui per tre ragioni3: la prima è che ciò non è del presente proposito, se volemo guardare nel proemio che precede questo libello4; la seconda si è che, posto che fosse del presente proposito, ancora non sarebbe sufficiente la mia lingua a trattare come si converrebbe di ciò5; la terza si è che, posto che fosse l’uno e l’altro, non è convenevole a me trattare di ciò, per quello che, trattando, converrebbe essere me laudatore di me medesimo, la quale cosa è al postutto biasimevole a chi lo fae6; e però lascio cotale trattato ad altro chiosatore7. 4. Tuttavia, però che molte volte lo numero del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi, onde pare che sia non sanza ragione, e ne la sua partita cotale numero pare che avesse molto luogo, convenesi di dire quindi alcuna cosa, acciò che pare al proposito convenirsi8. 5. Onde prima dicerò come ebbe luogo ne la sua partita, e poi n’assegnerò alcuna ragione per che questo numero fue a lei cotanto amico9.
[Vita nuova, cap. XXIX] 6. Io dico che, secondo l’usanza d’Arabia, l’anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese10; e secondo l’usanza di Siria, ella si partio nel nono mese de l’anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre11; e secondo l’usanza nostra, ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio12. 7. Perché questo numero fosse in tanto amico di lei13, questa potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e, secondo comune oppinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s’aveano insieme14. 8. Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile veritade, questo numero fue ella medesima15; per similitudine16 dico, e ciò intendo così. 9. Lo numero del tre è la radice del nove, però che, sanza numero altro alcuno, per se medesimo fa nove, sì come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove17. 10. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade18. 11. Forse ancora per più sottile persona si vederebbe in ciò più sottile ragione; ma questa è quella ch’io ne veggio, e che più mi piace19.

1 Quomodo… gentium: Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! È divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni. È l’inizio delle Lamentazioni di Geremia, posto in apertura di capitolo a preannunciare la morte di Beatrice.

2 Io era… beata: Io ero (era) ancora nella prima fase di impostazione (proponimento) di questa canzone, e ne avevo composta (compiuta) questa stanza che ho riportato in precedenza (soprascritta stanzia: nel capitolo precedente Dante ha inserito la stanza iniziale di una canzone iniziata in lode di Beatrice, ma non compiuta), quando il signore della giustizia (Dio, qui definito, come osserva De Robertis, «secondo l’attributo che permette di accettare la morte di Beatrice») chiamò (chiamoe, forma con epitesi) questa gentilissima (Beatrice, come di consueto indicata per antonomasia) a partecipare alla gloria del cielo (gloriare) sotto il vessillo (insegna) della regina benedetta vergine (virgo, latinismo) Maria, il cui nome fu (fue, forma con epitesi) oggetto di grandissima venerazione (in grandissima riverenza) nelle parole di questa Beatrice beata (figura etimologica che sottolinea, secondo il principio per cui nomina sunt consequentia rerum, la natura angelica della donna).

3 E avvegna…ragioni: E anche se (avvegna che) forse sarebbe bello (piacerebbe) in questa circostanza (a presente) parlare un po’ del suo allontanamento (partita) da questo mondo (da noi), non è mia intenzione trattarne qui, per tre ragioni.

4 la prima… libello: la prima <ragione> è (si è) che quest’argomento (ciò) non rientra nell’oggetto di quest’opera (nel presente proposito), se vogliamo fare riferimento al (guardare nel) proemio che precede questo libello. La morte di Beatrice non è annoverata da Dante tra quei ricordi che, nel libro della sua memoria, risultano inclusi sotto il “titolo” di Vita nuova [G1].

5 la seconda…di ciò: la seconda <ragione> è che, anche se (posto che) <quest’argomento> rientrasse nell’oggetto di quest’opera, nonostante ciò (ancora) la mia lingua non sarebbe sufficiente a trattare di questo tema come sarebbe necessario (si converrebbe).

6 la terza… lo fae: la terza <ragione> è che, anche ammesso che si verificassero entrambe queste condizioni (posto che fosse l’uno e l’altro; in altre parole, ammesso e non concesso che l’argomento fosse pertinente a quest’opera e che io fossi capace di trattarlo) non si addice (non è convenevole) a me trattare quest’argomento perché (per quello che) se lo trattassi (trattando, protasi implicita del periodo ipotetico espressa con il gerundio) sarebbe necessario (converrebbe) che io lodassi (essere me laudatore, proposizione esemplata sulla dichiarativa latina con l’accusativo e l’infinito) me stesso, la qual cosa è completamente (al postutto) degna di biasimo per chi la fa (fae, forma con epitesi). Come spiega Sapegno, «se in genere chi avvicinava Beatrice ne riceveva lode, tanto più dovette averne, in quell’occasione della morte, Dante, che era stato eletto ad amarla e a rivelarne agli altri la mirabile natura».

7 e però… chiosatore: e perciò (però) lascio tale trattazione (trattato) a un altro commentatore (chiosatore). Potrebbe essere un riferimento implicito a una canzone di Cino da Pistoia, in cui si accenna appunto alle lodi ricevute da Dante in occasione della morte di Beatrice.

8 Tuttavia…convenirsi: Tuttavia, poiché (però che) spesso il numero nove ha avuto un ruolo (preso luogo) nei capitoli precedenti (tra le parole dinanzi), per cui (onde) è evidente (pare) che la cosa non sia causale (che sia non sanza ragione), e <poiché> è evidente (pare) che nella sua morte (partita) tale numero ha avuto un ruolo importante, è necessario per questo fare alcune osservazioni, poiché (acciò che) è evidente che ciò rientra nell’argomento <del libello> (pare al proposito convenirsi). Mentre la trattazione della morte di Beatrice non può essere compresa nella Vita nuova, sicuramente pertinente alla materia del «libello» è il simbolico ritorno del numero nove, che ricorre anche in occasione della morte della donna.

9 Onde… amico: Perciò (Onde) prima dirò (dicerò) in che modo <il numero nove> ebbe un ruolo (ebbe luogo) nella sua morte (partita), e poi fornirò (assegnerò) alcune spiegazioni (alcuna ragione) del perché questo numero le sia stato così congeniale (amico, metafora).

10 Io dico… del mese: Io dico che, secondo il sistema con cui gli Arabi misurano il tempo (secondo l’usanza d’Arabia), la sua anima nobilissima si dipartì (si partio, forma con epitesi) alla prima ora del nono giorno del mese. La morte di Beatrice avvenne la sera dell’8 giugno 1290. Poiché gli Arabi fanno iniziare il giorno immediatamente dopo il tramonto, la sera dell’8 corrisponde per loro all’inizio del nono giorno del mese.

11 e secondo l’usanza di Siria… Ottobre: e secondo il sistema con cui i Siriani misurano il tempo (secondo l’usanza di Siria), essa si dipartì nel nono mese dell’anno, poiché (però che) il primo mese è in Siria (ivi) “Tisirin primo” (nome appunto del primo mese del calendario siriano), che corrisponde per noi a (lo quale a noi è) ottobre. Contando da ottobre compreso, giugno risulta infatti essere il nono mese dell’anno.

12 e secondo l’usanza nostra…centinaio: e secondo il nostro sistema di misurazione del tempo (l’usanza nostra, ossia il calendario romano) essa si dipartì in quell’anno del nostro calendario (indizione; il termine indica propriamente un ciclo di quindici anni, ma qui indica genericamente un riferimento nel computo cronologico), cioè dell’era cristiana (de li anni Domini) in cui il numero dieci (lo numero perfetto) si era compiuto nove volte (erano cioè passati novant’anni) durante quel secolo (in quello centinaio) nel quale <la sua anima> fu fatta scendere (posta) in questo mondo, e <precisamente> essa fu <una> tra i cristiani del tredicesimo secolo (terzodecimo centinaio).

13 in tanto amico di lei: tanto (in tanto) congeniale a lei.

14 con ciò… insieme: poiché (con ciò sia cosa che), secondo Tolomeo e secondo la vera dottrina cristiana (la cristiana veritade), i cieli che girano (si muovono) <intorno alla terra> sono nove e <poiché>, secondo la comune opinione astrologica (astrologa, aggettivo), i suddetti cieli influiscono sulla terra (adoperino qua giuso) tutti insieme, in base alle leggi cui obbediscono (secondo le loro abitudini), questo numero fu a lei congeniale per fare comprendere (dare a intendere) <a tutti> che nella creazione della sua anima (ne la sua generazione) tutti i nove cieli mobili erano nella reciproca posizione più favorevole (perfettissimamente s’aveano insieme). Ricordiamo che, nella cosmologia medievale che si rifà a Tolomeo, la Terra è al centro del creato e, intorno ad essa, girano nove sfere celesti; il nono cielo è il Primo Mobile o Cristallino, che imprime il movimento a tutti gli altri cieli.

15 Questa è una ragione… medesima: Questa è una <possibile> spiegazione (una ragione) di questo fatto (di ciò, ossia del ricorrere del numero nove); ma riflettendo più a fondo (sottilmente), e secondo la infallibile verità <cristiana>, questo numero <nove> fu lei stessa.

16 per similitudine: Beatrice si identifica con il numero nove (che, come subito vedremo, rappresenta il miracolo) per somiglianza: la precisazione sembra voler sottolineare che la presenza di Beatrice in terra era segno e manifestazione del divino.

17 Lo numero… fa nove: Il numero tre è la radice del nove, poiché (però che), senza bisogno di altri numeri, <moltiplicato> per se medesimo fa nove, in quanto vediamo manifestamente che tre per tre (tre via tre) fa nove.

18 Dunque… Trinitade: Dunque se il tre è il numero che moltiplicato per se stesso produce il nove (fattore per se medesimo del nove), e il numero che moltiplicato per se stesso produce i miracoli è il tre, cioè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, i quali sono <al tempo stesso> tre e uno (riferimento al mistero della Trinità), questa donna (Beatrice) fu accompagnata da questo numero nove per fare capire che essa era un “nove”, cioè un miracolo, la cui radice, cioè la radice del miracolo, può essere soltanto la miracolosa (mirabile) Trinità. Il numero tre rappresenta dunque simbolicamente la Trinità: poiché il prodotto della Trinità è il miracolo, ne consegue che Beatrice stessa è un miracolo.

19 Forse… mi piace: Forse per opera di (per) una persona più ingegnosa (sottile) <di me> si potrebbe trovare in questo fatto (il ricorrere del numero nove in relazione a Beatrice) una spiegazione ancora più profonda (più sottile ragione). Ma questa è quella che io vedo (veggio) e che più mi piace.


G14 - Analisi del testo
Questo brano antologico racchiude due capitoli consecutivi della Vita nuova, il XXVIII e il XXIX, entrambi solo in prosa. Il capitolo XXVIII, dopo una citazione dalle Lamentazioni di Geremia che inquadra l’episodio nella consueta cornice biblica, si sofferma su una giustificazione della mancata trattazione diretta della morte di Beatrice. Dante sottolinea come con quest’evento ci si trovi ormai al limite della materia che può essere ospitata dalla Vita nuova. Il narratore consapevole sa già infatti che la sua poesia in lode della donna dovrà da questo momento tacere, fino al giorno in cui non troverà il modo di «più degnamente trattare di lei» [G16]. Le poesie che saranno raccolte nei successivi capitoli del «libello», infatti, non avranno per oggetto la lode di Beatrice, ma principalmente i sentimenti di dolore del poeta per la sua morte (capp. XXVII-XXXIV) e l’amore per una «donna gentile» che temporaneamente sembra consolarlo della perdita (capp. XXXV-XXXVIII), finché una nuova visione di Beatrice non lo farà vergognare di questa passione che lo ha allontanato dalla devozione per lei (cap. XXXIX). In qualche modo, dunque, la poesia della Vita nuova successiva a questi capitoli torna ad avere come centro il poeta-amante piuttosto che Beatrice (come avveniva prima della svolta costituita dalla poetica della lode). Quando Beatrice tornerà al centro dell’opera dantesca, saremo ormai alle porte della Divina Commedia.
Il capitolo XXIX si sofferma invece su una matematica dimostrazione della natura miracolosa di Beatrice. Dante fornisce qui una giustificazione teorica del simbolismo del numero nove, che più volte ricorre nella Vita nuova, attingendo non solo alla cultura occidentale e alla cosmologia tolemaica, ma anche al computo arabo del giorno e della notte nonché al calendario siriano. Alla base dell’argomentazione sta la convinzione (che discende da alcuni passi della Bibbia, ma che trova un significativo precedenti nella filosofia greca, in particolare in quella pitagorica) che esista un misterioso rapporto tra i numeri e la realtà cui essi rimandano (rapporto del resto analogo a quello, ugualmente significativo, tra nomi e cose). Il fulcro dell’argomentazione attinge, attraverso il numero, alla simbologia cristiana: due semplici operazioni aritmetiche (la potenza e la radice quadrata) vengono ricondotte, mediante l’identificazione tra il numero tre e la Trinità, a una dimensione soprannaturale. La prospettiva da cui è condotto tutto il ragionamento è quella del narratore consapevole: nei due capitoli riuniti in questo brano sono infatti pressoché assenti le tracce del dolore per la morte di Beatrice.