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[Inferno, canto XIX, vv. 1-57] per oro e per argento avolterate, Già eravamo, a la seguente tomba, O somma sapienza, quanta è l’arte Io vidi per le coste e per lo fondo Non mi parean men ampi né maggiori l’un de li quali, ancor non è molt’anni, Fuor de la bocca a ciascun soperchiava Le piante erano a tutti accese intrambe; Qual suole il fiammeggiar de le cose unte «Chi è colui, maestro, che si cruccia Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace: Allor venimmo in su l’argine quarto: Lo buon maestro ancor de la sua anca «O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto, Io stava come ’l frate che confessa Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto, Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio [Paradiso, canto XXVII, vv. 10-66] Dinanzi a li occhi miei le quattro face e tal ne la sembianza sua divenne, La provedenza, che quivi comparte quand’io udi’19: «Se io mi trascoloro, Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, fatt’ha del cimitero mio cloaca Di quel color che per lo sole avverso E come donna onesta che permane così Beatrice trasmutò sembianza; Poi procedetter le parole sue «Non fu la sposa di Cristo allevata ma per acquisto d’esto viver lieto Non fu nostra intenzion ch’a destra mano né che le chiavi che mi fuor concesse, né ch’io fossi figura di sigillo In vesta di pastor lupi rapaci Del sangue nostro Caorsini e Guaschi Ma l’alta provedenza, che con Scipio e tu, figliuol, che per lo mortal pondo 1 O Simon mago… state: O Simon mago, o miserabili <tuoi> seguaci che, o avari (e voi rapaci; la congiunzione «e» è paraipotattica: essa sembra introdurre una coordinata, ma il verbo e i complementi che la seguono fanno parte della relativa introdotta dal primo «che» del v. 2; il pronome «voi» è inoltre pleonastico), prostituite (avolterate) per oro e per argento le cariche spirituali (le cose di Dio), che devono <invece> essere congiunte (spose, metafora) alla carità (bontate), ora è necessario (convien) che per voi suoni la <mia> tromba (cioè che la mia opera si occupi di voi, con riferimento alla tromba dei banditori, ma probabilmente anche alle trombe del Giudizio universale), poiché state nella terza bolgia. Simon Mago è un personaggio citato negli Atti degli Apostoli (8, 9-24): un mago samaritano che pretendeva di comprare dal primo papa, san Pietro, la facoltà di comunicare lo Spirito Santo ai battezzati imponendo loro le mani. Da lui viene il nome di simoniaci, attribuito a coloro che facevano mercato degli uffici ecclesiastici. Il problema della simonia era molto sentito nel Medioevo, sia perché suscitava scandalo nelle coscienze, sia perché era connesso con le grandi questioni politiche (ad esempio la lotta per le investiture). 2 Già eravamo… piomba: Già eravamo, <una volta giunti> alla bolgia (tomba) successiva (seguente, rispetto alla seconda bolgia in cui si era concluso il precedente canto), saliti (montati) in quella parte del ponte (scoglio: le bolge sono collegate tra loro da ponti di pietra), che sovrasta perpendicolarmente (piomba) proprio (a punto) la metà del fosso. Percorrendo il ponte che scende dalla seconda alla terza bolgia, Dante e Virgilio possono dunque osservare dall’alto la condizione dei peccatori. 3 O somma sapienza… comparte: O altissima (somma) sapienza <di Dio>, quanto è grande la forza creativa (arte) che mostri in cielo, in terra e nell’inferno (nel mal mondo), e con quanta giustizia (quanto giusto, aggettivo in funzione avverbiale) la tua potenza (virtù) distribuisce (comparte) <premi e castighi>! 4 Io vidi… era tondo: Io vidi la pietra di colore grigio scuro (livida), sulle pareti (per le coste) e sul fondo, piena di fori, tutti di una stessa larghezza (d’un largo), e ciascuno di essi era rotondo. 5 Non mi parean… ogn’omo sganni: Non mi sembravano né più piccoli (men ampi) né più grandi (maggiori) di quei <fori> che ci sono nel mio bel <battistero di> San Giovanni, scavati come luogo dei pozzetti battesimali (battezzatori); dei quali <pozzetti battesimali>, non molti anni fa (ancor non è molt’anni) ne ruppi uno a causa di un uomo che vi stava soffocando (v’annegava) dentro; e questa sia la vera versione dei fatti (suggel) che disinganni (sganni) tutti (ogn’uomo). I fori nel terreno della terza bolgia sono paragonati a quelli allora presenti nel battistero fiorentino di San Giovanni, nei quali – almeno secondo una delle possibili interpretazioni di questo passo – venivano immersi i bambini per battezzarli. Va detto che però la parte del Battistero in cui si trovavano questi fori fu demolita nel XVI secolo, per cui è impossibile ricostruirne con certezza la struttura. L’episodio autobiografico citato da Dante può essere così ricostruito: non molti anni prima di scrivere il poema – probabilmente nel 1300, quando rivestiva la carica di Priore – Dante aveva fatto rompere un pozzetto per salvare un uomo che vi si era incastrato dentro. L’episodio, anche per via delle vicissitudini politiche di Dante, aveva dato luogo a infondate maldicenze circa un suo presunto intento sacrilego. 6 Fuor de la bocca… dentro stava: Fuori dall’apertura (de la bocca) di ciascun <foro> uscivano (soperchiava, verbo al singolare per una pluralità di soggetti) i piedi e <<la parte inferiore> delle gambe, fino alle cosce (infino al grosso) di un peccatore, e il resto del corpo (l’altro) restava sottoterra (dentro). 7 Le piante… e strambe: Le piante dei piedi erano entrambe infiammate a tutti <<i peccatori>; per cui le articolazioni (giunte) guizzavano con tanta forza, che avrebbero spezzato funi di vimini (ritorte) e corde d’erba (strambe). 8 Qual suole… a le punte: Come il fuoco acceso sulle (fiammeggiar de le) cose unte è solito muoversi soltanto (pur) lambendo la superficie esterna (su per la strema buccia), lo stesso accadeva sui piedi (tal era lì) dai talloni alle punte. 9 Chi è… succia? «Chi è, maestro, quello che manifesta afflizione (si cruccia) muovendosi a scatti (guizzando) più degli altri condannati alla sua stessa pena (suoi consorti)», dissi io, «e che (cui, complemento oggetto) una fiamma più rossa (roggia) sta bruciando (succia, perché la fiamma si alimenta della pelle, quasi succhiandone gli umori)?». Dante ha individuato un dannato la cui pena appare più tormentosa di quella degli altri. Virgilio non gli rivelerà subito la sua identità, che emergerà solo ai vv. 67-72 (qui non riportati). Si tratta di papa Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano Orsini, che tenne il seggio pontificio dal 1277 al 1280 e si caratterizzò per un atteggiamento simoniaco e nepotistico. 10 Ed elli a me… de’ suoi torti: Ed egli <rispose> a me: «Se tu vuoi che io ti conduca là sotto, lungo quel pendio (ripa) che è meno scosceso (che più giace), sarai informato da lui della sua identità (di sé) e dei suoi peccati (torti)». 11 E io… quel che si tace: E io <risposi>: «A me piace (m’è bel) tutto quello (Tanto) che (quanto) piace a te: tu sei il mio signore, e sai che non mi allontano (parto) dalla tua volontà, e sai <anche> quello che io non dico (quel che si tace, cioè il mio pensiero)». 12 Allor venimmo… e arto: Allora giungemmo sull’argine che divide la terza bolgia dalla quarta (argine quarto: finito di attraversare il ponte, Dante e Virgilio giungono infatti dalla parte opposta, dove il pendio è meno scosceso; cfr. nota ); ci girammo e discendemmo alla nostra sinistra (a mano stanca: forma popolare, derivata dal fatto che la sinistra è solitamente meno abile della destra) lì sotto, nel fondo foracchiato e stretto (arto, dal latino artus). 13 Lo buon maestro… con la zanca: Il buon maestro non mi fece ancora scendere (dipuose) dal suo fianco (de la sua anca: Virgilio stringe Dante a sé tenendolo sollevato) finché (sì, usato spesso nel ’200 e ’300 in funzione di congiunzione temporale) mi condusse (giunse) al foro (al rotto) di colui che mostrava la sua disperazione (si piangeva) attraverso il polpaccio (zanca è voce di origine orientale; in francese indicava il gambale e successivamente, per metonimia, il polpaccio; in alcune parlate regionali italiane l’etimo sopravvive nella forma cianca). 14 O qual che se’… fa motto: «O chiunque tu sia, che tieni la parte superiore (’l di su, ossia la testa) rivolta verso il basso (di sotto), o anima malvagia (trista) conficcata in terra (commessa) come un palo», io cominciai a dire, «se ci riesci parla (fa motto)». L’inciso «se puoi» sottolinea beffardamente la condizione di questi peccatori, che trovandosi con la testa sottoterra non possono parlare facilmente. 15 Io stava… la morte cessa: Io stavo <chino> come il frate che confessa il perfido assassino che, dopo che è stato conficcato (fitto) <nella terra>, lo richiama perché <in questo modo> ritarda (cessa) la morte. Dante si china per udire le parole che Niccolò griderà da sottoterra. La similitudine fa riferimento al supplizio della propagginazione, con cui si punivano gli omicidi: essi venivano conficcati a testa in giù in una buca, che veniva progressivamente riempita di sabbia in modo che soffocassero. Prolungando la confessione, il condannato poteva dunque differire di un po’ la morte. Il termine «assessin» proviene dal plurale arabo hashashin, che designava una setta di ismailiti che commettevano delitti sotto l’effetto disinibente dell’hashish. 16 Ed el gridò… lo scritto: Ed egli gridò: «Sei proprio (ritto, con valore avverbiale) tu già qui (costì), sei proprio tu già qui, o Bonifacio? La profezia (lo scritto) si sbagliò (mi mentì) di parecchi anni». L’azione della Commedia è ambientata nel 1300, mentre Bonifacio VIII morì nel 1303. Ma Niccolò III, non potendo vedere il volto della persona che si avvicina, cade in un equivoco e crede che sia giunto nella bolgia proprio Bonifacio, di cui ha già appreso in anticipo la sicura dannazione. Attraverso quest’espediente narrativo Dante riesce dunque a mandare all’Inferno il personaggio-simbolo della degenerazione della Chiesa, aggirando l’ostacolo costituito dalla data in cui egli immagina di aver compiuto il viaggio. Secondo quanto Niccolò III spiegherà nella parte successiva del canto, all’arrivo del prossimo papa simoniaco egli scivolerà più in basso e sarà sommerso per intero sottoterra. Lo stesso Bonifacio, d’altra parte, non è destinato a rimanere a lungo con i piedi fuori dalla fossa: infatti dopo di lui arriverà il papa francese Clemente V. 17 Sei tu sì tosto… farne strazio: «Ti sei saziato così presto (tosto) di quella ricchezza (aver) per la quale non avesti pudore di (non temesti) sposare (tòrre) con l’inganno la bella donna (ossia la Chiesa) e poi di prostituirla (farne strazio)?». Si riprende la metafora matrimoniale dei vv. 2-4; ma in questo caso la donna è identificata con la Chiesa (tradizionalmente indicata come sposa di Cristo); il suo matrimonio con il papa (che, in quanto vicario di Cristo, deve esserne il marito) appare come frutto di un inganno. Probabile il riferimento alle trame con cui Bonifacio indusse ad abdicare il suo predecessore, Celestino V. 18 Dinanzi a li occhi… cambiassersi penne: Dinanzi ai miei occhi le quattro luci (face: si tratta di Adamo e dei tre apostoli Pietro, Iacopo e Giovanni) stavano accese, e quella che era giunta prima (san Pietro) incominciò a divenire (farsi) di colore più acceso (più vivace) e diventò nel suo aspetto (sembianza) tale quale diventerebbe Giove, se esso e Marte fossero uccelli e se potessero scambiarsi le penne. La complessa, e un po’ tortuosa, similitudine paragona in via ipotetica i pianeti agli uccelli, in quanto questi ultimi possono perdere le penne che li rivestono, e immagina ancora che due uccelli si scambino vicendevolmente le penne, invertendo così i loro colori. Si ricordi che Giove appare di colore bianco e Marte di colore rosso; ed è proprio questa – dal bianco al rosso – la mutazione cromatica che segnala l’indignazione di san Pietro. 19 La provedenza… udi’: La provvidenza, che in quel luogo (quivi, ossia in Paradiso) distribuisce (comparte) il turno (vice) e il compito (officio), aveva fatto fare (posto) silenzio da ogni parte del coro dei beati, quando io udii <queste parole>. 20 Se io mi trascoloro… tutti costoro: «Se io cambio colore (i santi sono visibili sotto forma di luce, e quella di san Pietro è divenuta rossa) non meravigliarti; perché, mentre io parlerò (dicend’io), vedrai cambiare colore a tutti questi (gli altri santi)». 21 Quell’ ch’usurpa… là giù si placa: «Colui che usurpa in terra il mio ufficio (il luogo mio), il mio ufficio, il mio ufficio che è vacante (vaca) agli occhi del Figlio di Dio, ha trasformato la sede del mio martirio (cimitero mio) in una fogna (cloaca) <piena> di violenza (sangue, metonimia) e di scandalo (puzza, metafora); per cui il perverso (Satana) che cadde dal cielo (di qua sù), si rallegra (si placa) all’Inferno (là giù)». San Pietro – che ricalcando il linguaggio delle profezie bibliche ripete per tre volte il sintagma «il luogo mio» – sottolinea qui l’indegnità morale di Bonifacio VIII: egli certamente riveste l’ufficio di papa, ma procura infamia al Vaticano, luogo del martirio del santo. Dunque, di fronte al giudizio di Dio, è come se il soglio pontificio fosse vacante. 22 Di quel color… cosperso: Io vidi allora tutto il cielo cosparso (cosperso) di quel colore <rosso vivo> che tinge (dipigne) la nuvola al tramonto (da sera) e all’alba (da mane), a causa del sole che si trova di fronte (avverso). Il rosseggiare delle nuvole all’alba e al tramonto si spiega con il fatto che i raggi del sole, basso sull’orizzonte, le investono frontalmente. L’espressione «sole avverso» è ripresa da Ovidio: «adversi solis ab ictu» [«per l’impatto del sole di fronte»] (Metamorfosi, III, 183). 23 E come donna… possanza: E come una donna virtuosa che rimane consapevole della sua innocenza (sicura) riguardo alle proprie azioni (di sé), e tuttavia, ascoltando, si vergogna (timida si fane; il verbo presenta epitesi) per il peccato (fallanza) altrui, così Beatrice mutò aspetto; e credo che in cielo vi sia stata una simile eclissi, quando la suprema potenza (Cristo) patì <la morte>. Lo spegnersi della luminosità nel volto di Beatrice viene paragonato all’eclissi che oscurò il mondo alla morte del Salvatore. 24 Poi procedetter… non si mutò piùe: Poi le sue parole continuarono (procedetter) con una voce tanto alterata (trasmutata) rispetto a quella di prima (da sé) che l’aspetto non cambiò più (piue, forma con epitesi). 25 Non fu la sposa… molto fleto: «La Chiesa (sposa di Cristo, metafora) non fu fondata (allevata) con il mio sangue, quello di Lino, quello di Anacleto (i papi del I secolo d.C., tutti martirizzati) per essere utilizzata come mezzo di arricchimento (ad acquisto d’oro); ma, al fine di acquistare questa vita beata (esto viver lieto) <del Paradiso> Sisto, Pio, Callisto e Urbano (papi dei secoli II e III, che anch’essi patirono il martirio) versarono il loro sangue dopo molto pianto (fleto, latinismo)». 26 Non fu nostra intenzion… disfavillo: «Non fu nostra intenzione che parte del popolo cristiano sedesse alla destra dei nostri successori (che una fazione avesse, cioè, il favore dei papi; probabile riferimento ai Guelfi) e un’altra parte <sedesse> dal lato opposto (che la fazione opposta – quella dei Ghibellini – fosse avversata dai papi: la collocazione dei cristiani a destra e a sinistra dei papi costituisce una tragica parodia del Giudizio universale); né <fu nostra intenzione> che le chiavi (simbolo del potere papale) che mi furono concesse <da Cristo> diventassero emblema (signaculo) in una bandiera (vessillo) che combattesse contro altri cristiani (battezzati; si riferisce a qualcuna delle numerose imprese guerresche del papato: contro i Colonnesi, contro Manfredi, contro fra’ Dolcino, contro i Ghibellini romagnoli ecc.); né <fu nostra intenzione> che io divenissi l’immagine di un sigillo (quello utilizzato nei documenti ufficiali della Chiesa) apposto su benefici (privilegi) venduti <con la simonia> e <di conseguenza> falsi (mendaci), cosa di cui (ond’) io spesso arrossisco <di vergogna> e mi infiammo <di indignazione> (disfavillo)». 27 In vesta di pastor… perché pur giaci: «Sotto l’aspetto (in vesta) di pastori si vedono lupi rapaci qua e là per tutti i pascoli (paschi: indica metaforicamente le chiese assegnate agli indegni pastori); o aiuto di Dio, perché ancora (pur) sembri dormire (giaci)»? La metafora dei lupi si rifà a Matteo, VII, 15: «intrinsecus autem sunt lupi rapaces» [«ma interiormente sono lupi rapaci»] e naturalmente richiama la lupa del primo canto del poema; l’implorazione finale richiama l’«Exsurge, quare obdormis, Domine?» [«Alzati, Signore, perché dormi?»] di Salmi, 43, 23. 28 Del sangue nostro… tu caschi: «I Caorsini (Cahors era la città da cui proveniva Giovanni XXII, papa dal 1316 al 1334) e i Guasconi (ossia i conterranei di Clemente V, papa dal 1305 al 1314) si preparano a bere il nostro sangue (cioè a fare strazio della Chiesa costruita grazie al sacrificio dei martiri): o istituzione nata bene (buon principio), a quale brutta (vil) fine è necessario (convien) che tu arrivi (caschi)! » Essendo il viaggio di Dante ambientato nel 1300, quella di san Pietro su «Caorsini e Guaschi» è una profezia post eventum e consente di datare con sicurezza a dopo il 1316 la composizione di questo canto. 29 Ma l’alta provedenza… sì com’io concipio: «Ma la provvidenza divina (alta), che attraverso Scipione (l’Africano, vincitore di Annibale) difese a Roma la supremazia (gloria) sul mondo, interverrà (soccorrà) presto (tosto), come io prevedo (concipio, latinismo). » I riferimenti di san Pietro alla storia romana fanno pensare a un prossimo intervento del potere imperiale. Si tratta in questo caso di una profezia ante eventum, che non avrebbe trovato realizzazione nella storia successiva. 30 e tu, figliuol… non ascondo: «e tu, figliolo, che a causa del tuo corpo umano (mortal pondo, lett. peso mortale) tornerai di nuovo (ancor) sulla terra (giù), scrivi queste cose (apri la bocca) e non nascondere ciò che io non nascondo». L’invettiva si chiude con la solenne investitura di Dante come portavoce delle verità rivelate da san Pietro; la poesia dantesca si carica dunque di una vera e propria funzione profetica. IL TESTO IL PROBLEMA 1 Francesco D’Ovidio, Studi sulla Divina Commedia, Milano-Palermo, Sandron, 1901, p. 365. |
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