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3/10/10

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IL TESTO E IL PROBLEMA
La Divina Commedia

UNITÀ C
La letteratura religiosa

UNITÀ E
Il Dolce Stil Novo

UNITÀ F
La poesia comico-realistica


ANTONINO SCIOTTO
Ideologie e metodi storici


Queste parole sono state pronunciate da Piero Calamandrei in un discorso del 1950. Le riproponiamo a insegnanti e studenti per la loro impressionante attualità.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.

Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950


Dante Alighieri
Divina Commedia Purgatorio, XXII, 55-93
Il sincretismo medievale – Virgilio e Stazio
DIV2b

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[Purgatorio, canto XXII, vv. 55-93]
Nel quinto girone del Purgatorio, in cui si purificano gli avari e i prodighi, Dante e Virgilio sono sorpresi da un terremoto; è il segno che un’anima, finito il periodo di espiazione, sta per salire in Paradiso. Si tratta del poeta latino Stazio, vissuto nel I secolo d. C., il quale – prima ancora di rendersi conto che l’anima con cui sta parlando è quella di Virgilio – manifesta la propria ammirazione per l’autore dell’Eneide e delle Bucoliche. Dopo che l’identità di quest’ultimo viene rivelata, tra i due poeti latini si svolge un affettuoso colloquio, che ne evidenzia gli opposti destini: Virgilio, morto prima di Cristo, rimarrà nel Limbo [DIV6a]; Stazio invece – che secondo il racconto di Dante si è segretamente convertito al Cristianesimo – può accedere alla salvezza. A spingere Stazio alla conversione sarebbe stato proprio Virgilio, in particolare con la quarta Ecloga nella quale, durante il Medioevo, si leggeva una profezia del prossimo avvento del Cristianesimo.

«Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta»,
disse ’l cantor de’ buccolici carmi, 57

«per quello che Cliò teco lì tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta1. 60

Se così è, qual sole o quai candele
ti stenebraron sì, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?»2. 63

Ed elli a lui: «Tu prima m’inviasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m’alluminasti3. 66

Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte, 69

quando dicesti: «Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova»4. 72

Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
a colorare stenderò la mano5: 75

Già era ’l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l’etterno regno6; 78

e la parola tua sopra toccata
si consonava a’ nuovi predicanti;
ond’io a visitarli presi usata7. 81

Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti8; 84

e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette9. 87

E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
di Tebe poetando, ebb’io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu’mi, 90

lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo10. 93





1 Or quando… non basta: «Dunque (Or), quando tu raccontasti (cantasti; il riferimento è alla Tebaide di Stazio) le battaglie crudeli (le crude armi, metonimia) <che furono causa> del doppio lutto (la doppia trestizia) di Giocasta», disse l’autore delle Bucoliche (’l cantor de’ buccolici carmi, perifrasi per designare Virgilio, qui particolarmente opportuna perché proprio alle Bucoliche – o Ecloghe – si farà riferimento ai vv. 67-72), «stando a quanto (per quello che) Clio (musa della storia, spesso invocata da Stazio nel suo poema) in quell’opera () tratta (tasta) attraverso te (teco), non risulta (non par) ancora che ti annoverasse tra i suoi seguaci (ti facesse ancor fedele) la fede <cristiana>, senza la quale operare virtuosamente (ben far) non è sufficiente <a raggiungere la salvezza>. Secondo il mito greco, la regina Giocasta sposò in seconde nozze il figlio Edipo, che credeva morto e di cui di conseguenza ignorava l’identità. Edipo in precedenza aveva ucciso – sempre senza conoscerne l’identità – il padre Laio. Da questa unione incestuosa nacquero due figli, Eteocle e Polinice, i quali combatterono ferocemente e si uccisero a vicenda. Questa lotta fratricida, che per la madre costituì una «doppia trestizia», è appunto il tema della Tebaide di Stazio. Qui Virgilio si mostra a conoscenza di un poema scritto diversi decenni dopo la sua morte.

2 Se così è… le vele: «Se è così, quale luce <divina> (sole, metafora) o quali insegnamenti <umani> (candele) ti tolsero dalle tenebre <dell’ignoranza> (stenebraron), in modo () che tu in seguito (poscia) indirizzasti dietro a san Pietro (pescator, antonomasia che è anche una sineddoche, perché San Pietro sta qui a indicare la Chiesa cristiana; per la designazione di san Pietro e degli apostoli come piscatores hominum, cfr. Matteo, IV, 19; Marco, I, 17) il cammino della tua vita (le vele, metafora nautica connessa con l’immagine del pescatore)?».

3 Ed elli… alluminasti: Ed egli (Stazio) <rispose> a lui (Virgilio): «Tu per primo (prima) mi indirizzasti (inviasti) verso il Parnaso (monte, secondo Dante, abitato dalle Muse e da Apollo; qui designa, per metonimia, la poesia) per bere nelle sue grotte (si tratta precisamente della fonte Castalia; metaforicamente, l’acqua che sgorga dalle grotte del Parnaso rappresenta la poesia), e <tu> per primo mi illuminasti <la strada che conduce> verso (appresso) Dio». Stazio riconosce in Virgilio la guida che lo ha indotto a scelte decisive: quella di divenire poeta e quella di divenire cristiano. In un’altra parte del canto, gli attribuisce anche il merito di aver corretto la sua tendenza peccaminosa alla prodigalità.

4 Facesti… nova: «Ti comportasti come colui che cammina (va) di notte, che tiene la lampada (lume) dietro di sé e non fa luce (giova) a se stesso, ma rende consapevoli (dotte) <della strada da percorrere> le persone <che camminano> dietro (dopo) di lui, quando scrivesti (nella IV Ecloga): “I tempi si rinnovano (secol si rinova: è la traduzione del verso virgiliano «Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo»); ritornano la giustizia e l’età dell’oro (primo tempo umano; il testo di Virgilio è: «Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna») e dal cielo scende una nuova progenie” («Iam nova progenies coelo demittitur alto»)». La IV Ecloga di Virgilio era interpretata dai medievali come una inconsapevole profezia della venuta di Cristo; l’inconsapevolezza di Virgilio è riassunta dall’immagine del lampadoforo, che non rischiara il proprio cammino ma solo quello degli altri. L’immagine proviene da Agostino (De symbolo, IV, 4), che però la applica agli Ebrei.

5 Per te… la mano: «Grazie a te fui poeta, grazie a te <fui> cristiano; ma, affinché (perché) tu capisca (veggi, metafora) meglio (mei) ciò che io accenno (disegno, metafora), mi darò da fare (stenderò la mano, metafora) per illustrare la cosa nei particolari (colorare, altra metafora desunta, come tutte le altre di questa terzina, dalla pittura)».

6 Già era… etterno regno: «Già il mondo era tutto impregnato della vera fede (credenza), seminata dai (per li, complemento d’agente; l’uso della preposizione è ricalcato sul francese par) messaggeri (messaggi, con riferimento agli apostoli) del regno dei cieli (etterno regno)». Stazio visse nella seconda metà del I secolo d.C., in un’epoca in cui la predicazione cristiana era diffusa in forma clandestina.

7 e la parola… presi usata: «e la tua poesia (parola; si riferisce alla IV Ecloga) che è stata prima citata (toccata) era in armonia (si consonava) con <quella dei> nuovi predicatori; per cui (ond’) io presi l’abitudine (usata) di frequentarli (visitarli)».

8 Vennermi poi… lor pianti: «<I cristiani> mi andarono poi <sempre più> apparendo così santi che, quando Domiziano li perseguitò, le loro sofferenze (pianti) furono accompagnate dalle mie lacrime (sanza mio lagrimar non fur, litote)». Domiziano fu imperatore dall’81 al 96 d.C.; gli vennero attribuite feroci persecuzioni (peraltro ridimensionate dalla storiografia più recente).

9 e mentre… altre sette: «e fino a quando (mentre) io vissi (per me si stette, forma passiva impersonale con complemento d’agente, lett. da parte mia si visse) sulla terra (di là), io li aiutai (sovvenni), e i loro comportamenti santi (dritti costumi) mi fecero disprezzare tutte le altre scuole <filosofiche o religiose> (sette; il termine non ha, a differenza di quanto avviene oggi, connotazione spregiativa)».

10 E pria… quarto centesmo: «E prima che io con la mia poesia (poetando) facessi arrivare (conducessi) i Greci presso i fiumi di Tebe (si allude a un episodio contenuto nel libro IX della Tebaide), io ebbi il battesimo; ma per paura fui (fu’mi, con dativo etico pleonastico) un cristiano nascosto (chiuso), continuando a lungo a fingermi pagano (lungamente mostrando paganesmo); e questa accidia (tepidezza, soggetto) mi costrinse a girare (cerchiar mi fé) il quarto girone del Purgatorio (il quarto cerchio, destinato appunto agli accidiosi) per più di quattro secoli (più che ’l quarto centesmo, lett. fin oltre il quarto secolo)».


IL TESTO
La IV Ecloga di Virgilio
Il colloquio tra Virgilio e Stazio illustra in modo esemplare il processo di reinterpretazione cui i classici latini furono sottoposti in età medievale, al fine di renderli conciliabili con il cristianesimo e di ritrovare in essi, ove possibile, anticipazioni profetiche della nuova religione. Nella Commedia, addirittura, Stazio – presentato come un pagano segretamente convertitosi al cristianesimo nei primi decenni di diffusione di questa religione – attribuisce la salvezza della sua anima alla lettura di un testo pagano, la IV Ecloga di Virgilio. Questo testo gli si sarebbe infatti rivelato nel suo significato profetico di annuncio della nascita di Cristo; mentre Virgilio stesso, morto prima di Cristo – e qui rappresentato efficacemente come portatore di una lanterna cieca – sarebbe rimasto per tutta la vita ignaro del vero senso della propria opera. I versi virgiliani qui citati da Stazio sono contenuti all’inizio dell’Ecloga.

Sicelides Musae, paulo maiora canamus!
Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae;
si canimus silvas, silvae sint consule dignae.
Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;
magnus ab integro saeclorum nascitur ordo:
iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna;
iam nova progenies caelo demittitur alto.
Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum
desinet ac toto surget gens aurea mundo,
casta fave Lucina: tuus iam regnat Apollo.

[O Muse Siciliane1, cantiamo argomenti un po’ più elevati! Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici2. Se cantiamo i boschi, i boschi siano degni di un console. È giunta ormai l’ultima età del canto di Cuma3. Nasce nuovamente il grande ciclo dei secoli. Già torna anche la Vergine4, torna il regno di S5, già dall’alto del cielo discende una nuova stirpe. Tu, o casta Lucina6, proteggi il fanciullo che ora nasce, grazie al quale finalmente avrà termine l’età ferr7 e tornerà nel mondo quella dell’oro: già regna il tuo Apollo].

IL PROBLEMA
Oracoli e miti di rinnovamento
Non c’è dubbio che gli esametri di Virgilio siano caratterizzati dall’attesa “profetica” di un imminente rinnovamento. In essi si fondono suggestioni letterarie e religiose di diversa origine, tra cui si possono individuare:
1) Il mito dell’età dell’oro, narrato dal poeta greco Esiodo. Secondo quest’autore, l’umanità è andata quasi costantemente corrompendosi nel passaggio da un’età all’altra. Alla felice e pacifica “età aurea”, infatti, erano succedute le meno perfette età “argentea”, e “bronzea”; dopo un intermezzo positivo rappresentato dall’età “eroica”, si ebbe infine l’età “ferrea”, caratterizzata da infelicità e violenza. Tuttavia, secondo Virgilio, quest’età stava per ormai per terminare. I riferimenti a Saturno e alla vergine Astrea, come si è visto nelle note, annunciano un prossimo ritorno di una pacifica e prospera età dell’oro.
2) La suggestione dei Libri Sibillini. Gli oracoli attribuiti alla Sibilla Cumana, conservati a Roma in Campidoglio, scandivano la storia dell’umanità in dieci cicli della durata di un secolo ciascuno. Ogni ciclo comportava una decadenza, ma dopo l’ultimo di essi, destinato a culminare in una catastrofe, vi sarebbe stato un ritorno alla felicità.
3) Influenze pitagoriche e stoiche. Secondo la concezione dei pitagorici, la stirpe umana discende dal cielo e si rigenera ciclicamente. Il momento della rigenerazione (Grande anno) si ripete ogni qualvolta il Sole, la Luna e i pianeti ritornano in cielo nella stessa posizione relativa. Di un Grande anno parlavano anche gli Stoici, intendendo un periodo di diecimila anni, al termine del quale ci sarebbe stata prima una conflagrazione universale e, in seguito, una rigenerazione.
4) Apporti ebraici. Non si può escludere, infine, che tra gli apporti profetici noti a Virgilio e che potevano suggerirgli il senso di un’attesa messianica potessero figurare anche quelli dell’Antico Testamento, che non erano del tutto ignoti nella Roma di allora.

Una concezione ciclica della storia
I miti e le dottrine cui Virgilio fa riferimento sono accomunati da una concezione ciclica della storia, che viene scandita in periodi che si succedono secondo un ordine preciso; al termine di questa successione l’intero processo è destinato a ripetersi. Tale concezione appare notevolmente diversa da quella cristiana, che scandisce la storia umana lungo una linea retta, in funzione di un disegno di salvezza che ha le sue tappe fondamentali nella venuta di Cristo e nel Giudizio Universale.

L’Eden come “età dell’oro”?
Nonostante la diversità, però, agli occhi dei medievali che rileggevano Virgilio in chiave cristiana poteva presentarsi qualche elemento di somiglianza tra i miti greco-latini e la tradizione ebraico-cristiana. Anche quest’ultima, infatti, parla di una compiuta felicità dell’uomo che si sarebbe avuta nel Paradiso Terrestre, prima del peccato originale. In quest’età l’uomo era tra l’altro in possesso della Giustizia, raffigurata nel mito dalla vergine Astrea. Bisogna ovviamente tener presente che l’avvento di Cristo – a differenza del ritorno dell’età aurea – non doveva comportare un integrale ripristino sulla terra dell’originaria felicità (cosa che sarebbe stata concepibile solo all’interno di una concezione ciclica). Tuttavia esso, introducendo per l’uomo la possibilità di redimersi dal peccato, poteva prestarsi, entro certi limiti, ad essere letto come un ritorno all’età dell’oro. Nella visione sincretistica del Medioevo, del resto, le somiglianze finivano per essere più importanti delle differenze. Negli antichi non si cercava, infatti, la compiuta annunciazione delle verità cristiane, bensì solo la loro prefigurazione (figura), che avrebbe trovato il proprio adempimento (figura impleta) soltanto con l’avvento del Cristianesimo. Lo stesso Dante, quando negli ultimi canti del Purgatorio potrà descrivere il Paradiso terrestre (che egli colloca in cima al monte), affermerà esplicitamente un legame diretto tra il mito classico dell’età dell’oro e la realtà ebraico-cristiana dell’Eden:

Quelli ch’anticamente poetaro8
l’età dell’oro e suo stato felice
forse in Parnaso esto loco9 sognaro10.

Le ragioni storiche del profetismo virgiliano
Alla luce delle nostre cognizioni sul mondo antico, e della mentalità filologica che da Petrarca in poi presiede agli studi su di esso, non ci è difficile cogliere – perlomeno per grandi linee – le reali ragioni storiche del profetismo virgiliano. Esse vanno ricondotte alla crisi del I secolo a.C., al succedersi delle devastazioni determinate dai ripetuti scontri civili che avevano insanguinato Roma, e cui Virgilio aveva potuto assistere (Cesare contro Pompeo, Ottaviano contro Antonio). Quando Ottaviano e Antonio si riavvicinarono, la loro pacificazione – suggellata dall’accordo di Brindisi del 40 a.C., di poco precedente alla stesura di questa Ecloga – poté dunque essere letta come il segno di un ritorno alla pace e alla prosperità. L’ideologia augustea, del resto, proclamava il ripristino dei costumi tradizionali, e sembrava dunque cercare nel passato – in una sorta di “età dell’oro” dell’Urbe – il rimedio contro la decadenza del presente.
Poco importa qui discutere fino a che punto, nella realtà, istituzioni e costumi del principato augusteo potessero assomigliare ai modelli antichi cui il principe diceva di volersi richiamare. È sufficiente sapere che la situazione storica offriva a Virgilio spunti sufficienti per vagheggiare un rinnovamento dei tempi quale è quello rappresentato, nella IV Ecloga, dal mito di una nuova età dell’oro. Quanto all’elemento che più profondamente avrebbe suggestionato i medievali, e cioè il riferimento a un fanciullo la cui nascita si legava al rinnovamento dei tempi, esso è forse il meno difficile da spiegare. Si tratta, con ogni probabilità, del figlio di Asinio Pollione, console romano che aveva partecipato attivamente alla pacificazione tra Ottaviano e Antonio. Il testo virgiliano farà riferimento a questo personaggio pochi versi dopo.

Filologia e sincretismo
Lo sforzo di restituire un testo al suo significato originario, senza sovrapporre ad esso suggestioni culturali estranee ai tempi in cui è stato prodotto, ci appare oggi uno dei più elementari doveri di uno studioso. Così non era invece per i medievali che, forti di una filosofia della storia che vedeva nell’antichità la prefigurazione di un tempo più pieno, ritenevano lecito, e perfino doveroso, leggere retrospettivamente il mondo pagano alla luce della Rivelazione. Era questa, del resto, l’unica via per impossessarsi della poderosa eredità culturale della latinità, che avrebbe altrimenti rischiato – ove se ne fosse sottolineata l’alterità – di essere interamente condannata.
Nel precedente approfondimento [DIV2a] abbiamo accennato brevemente al percorso che portò la cultura medievale dal rifiuto dei classici alla elaborazione di strumenti culturali che ne consentissero l’assimilazione. Possiamo aggiungere, in relazione alla IV Ecloga, che la lettura sincretistica di questo testo era già supportata, ai tempi di Dante, da una solida tradizione. Era stato infatti già Agostino a vedere nel testo virgiliano una profezia inconsapevole della nascita di Cristo11. Ed era anche diffusa la notizia secondo cui tre pagani – Secondiano, Marcellino e Valeriano – si sarebbero convertiti alla vera fede proprio grazie alla lettura di questa Ecloga12. È probabilmente la suggestione di questa leggenda ad avere ispirato il racconto dantesco sulla conversione di Stazio; un racconto di cui non è facile stabilire se sia stato creazione originale del poeta, o se fosse anch’esso oggetto di qualche leggenda diffusa nel Medioevo. In ogni caso, il personaggio di Stazio quale ci appare dalla Commedia presenta caratteri indubbiamente anacronistici. All’autore della Tebaide – ossia a un poeta latino intriso di cultura classica – Dante fa rileggere Virgilio con la stessa mentalità sincretistica con cui potevano leggerlo i medievali da Agostino in poi. Del resto, come osserva Sermonti, l’intero colloquio tra Virgilio e Stazio presenta «una sequenza di paradossi». Dapprima (vv. 55-63) «un poeta pagano (Virgilio) contesta a un poeta cristiano (Stazio) di aver scritto un poema pagano». In seguito (vv. 64-93) «il poeta cristiano lo ammette e ammette di averlo fatto apposta, non senza aver premesso di esser diventato cristiano leggendo un poemetto involontariamente cristiano del poeta pagano13.
La rilettura dantesca della IV Ecloga ci mostra, in definitiva, tutta la potenza del sincretismo medievale e, al tempo stesso, tutta la sua fragilità. Già con Petrarca l’approccio ai classici – nutrito dal gusto per la ricerca e per la scoperta: Petrarca stesso ritrovò numerosi codici contenenti testi latini fino ad allora smarriti – sarà tale da rendere impossibile ogni rilettura retrospettiva del mondo antico alla luce della spiritualità cristiana. Con Petrarca nascerà la filologia, e con essa comincerà a formarsi la moderna mentalità scientifica. Tramonteranno, d’altra parte, le certezze di un mondo che, nello sforzo grandioso di costruire una visione universale e unitaria del mondo e della storia, aveva potuto assimilare a sé la cultura greco-latina solo a costo di negarne l’alterità; e di fraintenderne spesso – sia pure in maniera geniale – il reale significato.




1 Muse siciliane: riferimento al poeta siracusano Teocrito, considerato un maestro del genere bucolico.

2 tamerici: sono piante che crescono in bassi cespugli. Divennero simbolo di poesia di argomento umile, tanto che Giovanni Pascoli intitolò Myricae una sua raccolta.

3 canto di Cuma: il canto della Sibilla cumana, profetessa legata al culto di Apollo. Nei suoi libri sibillini si leggevano oracoli che annunciavano un prossimo rinnovamento dei tempi.

4 la vergine: Astrea, figlia di Zeus e della Giustizia, aveva abbandonato la terra dopo l’età dell’oro per rifugiarsi in cielo, presso la costellazione della Vergine. Astrea viene identificata con la Giustizia naturale, e il suo ritorno indica una nuova era di felicità.

5 regno di Saturno: Saturno era assimilato al greco Crono. Scacciato dal figlio Zeus, si sarebbe rifugiato in Lazio. Qui avrebbe regnato durante l’età dell’oro, in cui gli uomini non lavoravano né combattevano, e si nutrivano dei frutti che la terra forniva senza bisogno di esser coltivata.

6 Lucina: divinità protettrice delle partorienti.

7 l’età ferrea: l’età del ferro era caratterizzata dalla guerra e dalla violenza, e si adattava a rappresentare la Roma in cui viveva Virgilio, reduce dalle lotte tra Cesare e Pompeo e, in seguito, tra Antonio e Ottaviano.

8 poetaro: cantarono in versi.

9 esto loco: questo luogo, cioè il Paradiso terrestre.

10 Purgatorio, XXVIII, vv. 139-141.

11 Una notizia data da Eusebio (Vita Constantini, IV, 32) potrebbe far supporre che l’iniziatore di questa interpretazione sia stato, un secolo prima, l’imperatore Costantino; ma non è possibile affermarlo con certezza.

12 Ne parla il teologo domenicano Vincenzo de Bouvais in Speculum historiale, XI, 50.

13 La Divina Commedia – Purgatorio, a cura di Vittorio Sermonti, Milano, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 1996, p. 326, nota.