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IL TESTO E IL PROBLEMA
La Divina Commedia
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UNITÀ C
La letteratura religiosa
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UNITÀ E
Il Dolce Stil Novo
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UNITÀ F
La poesia comico-realistica
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ANTONINO SCIOTTO
Ideologie e metodi storici
Queste parole sono state pronunciate da Piero Calamandrei in un discorso del 1950. Le riproponiamo a insegnanti e studenti per la loro impressionante attualità.
Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.
Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.
Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.
Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950
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[Nunzio]1 «Donna de Paradiso, lo tuo figliolo è preso Iesù Cristo beato2. Accurre, donna e vide che la gente l’allide; credo che lo s’occide, tanto l’ò flagellato3». [Maria] «Como essere porria, che non fece follia, Cristo, la spene mia, om l’avesse pigliato?4». [Nunzio] «Madonna, ello è traduto, Iuda sì ll’à venduto; trenta denar’ n’à auto, fatto n’à gran mercato5». [Maria] «Soccurri, Madalena, ionta m’è adosso piena! Cristo figlio se mena, como è annunziato6». [Nunzio] «Soccurre, donna, adiuta, cà ’l tuo figlio se sputa e la gente lo muta; òlo dato a Pilato7». [Maria] «O Pilato, non fare el figlio meo tormentare, ch’eo te pòzzo mustrare como a ttorto è accusato8». [Popolo] «Crucifige, crucifige! Omo che se fa rege, secondo nostra lege contradice al senato9». [Maria] «Prego che mm’entennate, nel meo dolor pensate! Forsa mo vo mutate de que avete pensato10». [Popolo] «Traiàn for li latruni, che sian soi compagnuni; de spine s’encoroni, ché rege ss’è clamato!11». [Maria] «O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio! Figlio, chi dà consiglio al cor me’ angustiato12? Figlio occhi iocundi, figlio, co’ non respundi? Figlio, perché t’ascundi al petto o’ sì lattato13?». [Nunzio] «Madonna, ecco la croce, che la gente l’aduce, ove la vera luce déi essere levato14». [Maria] «O croce, e que farai? El figlio meo torrai? E que ci aponerai, che no n’à en sé peccato15?». [Nunzio] «Soccurri, plena de doglia, cà ’l tuo figliol se spoglia; la gente par che voglia che sia martirizzato16». [Maria] «Se i tollit’el vestire, lassatelme vedere, com’en crudel firire tutto l’ò ensanguenato17». [Nunzio] «Donna, la man li è presa, ennella croc’è stesa; con un bollon l’ò fesa, tanto lo ‘n cci ò ficcato18. L’altra mano se prende, ennella croce se stende e lo dolor s’accende, ch’è plu multiplicato19. Donna, li pè se prènno e clavellanse al lenno; onne iontur’aprenno, tutto l’ò sdenodato20». [Maria] «Et eo comenzo el corrotto; figlio, lo meo deporto, figlio, chi me tt’à morto, figlio meo dilicato21? Meglio aviriano fatto ch’el cor m’avesser tratto, ch’ennella croce è tratto, stace descilïato22!». [Cristo] «O mamma, o’ n’èi venuta? Mortal me dà’ feruta, cà ’l tuo plagner me stuta, ché ’l veio sì afferato23». [Maria] «Figlio, ch’eo m’ aio anvito, figlio, pat’e mmarito! Figlio, chi tt’à firito? Figlio, chi tt’à spogliato24?». [Cristo] «Mamma, perché te lagni? Voglio che tu remagni, che serve mei compagni, ch’êl mondo aio aquistato25». [Maria] «Figlio, questo non dire! Voglio teco morire, non me voglio partire fin che mo ’n m’esc’ el fiato26. C’una aiàn sepultura, figlio de mamma scura27, trovarse en afrantura mat’e figlio affocato28!». [Cristo] «Mamma col core afflitto, entro ’n le man’ te metto de Ioanni, meo eletto; sia to figlio appellato29. Ioanni, èsto mea mate: tollila en caritate, àginne pietate, cà ‘l core sì à furato30». [Maria] «Figlio, l’alma t’è ’scita, figlio de la smarrita, figlio de la sparita, figlio attossecato31! Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio, figlio, e a ccui m’apiglio? Figlio, pur m’ài lassato32! Figlio bianco e biondo, figlio volto iocondo, figlio, perché t’à el mondo, figlio, cusì sprezzato33? Figlio dolc’e placente, figlio de la dolente, figlio àte la gente mala mente trattato34. Ioanni, figlio novello, morto s’è ’l tuo fratello. Ora sento ’l coltello che fo profitizzato35. Che moga figlio e mate d’una morte afferrate, trovarse abraccecate mat’e figlio impiccato36!».
1 Per agevolare la lettura di questa lauda drammatica abbiamo premesso alle strofe l’indicazione dei personaggi che pronunciano le diverse battute: il Nunzio, Maria, il Popolo, Cristo. Il Nunzio svolge la funzione di cronista della Passione, narra tutti gli eventi che non possono essere rappresentati in forma drammatica (cioè attraverso le parole dei protagonisti): la cattura di Cristo, il precedente tradimento di Giuda, la consegna di Gesù a Pilato, la crocifissione. I suoi interventi termineranno al v. 75; da quel momento l’interlocutore di Maria diventerà Cristo stesso. Qualcuno ipotizza che il Nunzio possa essere identificato con l’apostolo Giovanni. Va in ogni caso notato che, fin dalla prima strofa, il Nunzio appare come un narratore onnisciente, sempre consapevole (a differenza di Maria) tanto delle cause dei fatti narrati (ad es. il tradimento di Giuda) quanto delle loro implicazioni teologiche (cfr. n. 2). 2 Donna… beato: Signora (donna ha qui il significato del latino domina) del Cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è stato arrestato (preso). Il Nunzio, come nota Auerbach, si rivolge alla Madonna con un appellativo anacronistico (davanti alla croce Maria è solo una madre disperata; solo in Paradiso diverrà propriamente “Signora”). Ma era tipico della religiosità popolare sovrapporre gli attributi del dogma cristiano con gli aspetti semplicemente umani della Passione (che in questa lauda sono prevalenti). La rima di i con e («Paradiso» : «preso») è normale in Jacopone. 3 Accurre… flagellato: Accorri, donna, e guarda (vide) che la gente lo percuote (allide è un latinismo); credo che lo vogliano uccidere (lo s’occide), dal momento che l’hanno (l’o, forma umbra) così tanto flagellato. 4 Com’essere… pigliato?: Come potrebbe (porria) essere che sia stato arrestato (om l’avesse pigliato; «om», dal latino homo, introduce la costruzione impersonale del verbo, in analogia con il francese on) Cristo, la mia speranza (spene), che non commise mai alcuna colpa (follia)? Il discorso di Maria sull’innocenza del proprio figlio e lo stupore per il suo arresto sono tutti interni alla logica umana e non mostrano alcuna consapevolezza della missione salvifica di Cristo. 5 Madonna… mercato: O Madonna, egli è <stato> tradito (traduto), Giuda così lo ha (si ll’ha) venduto; ne ha ricavato (n’à aùto) trenta denari, ne ha fatto un grande affare (mercato). Il tono usato dal Nunzio, narratore onnisciente della Passione, è qui amaramente sarcastico: il «gran mercato» di Giuda è infatti espressione antifrastica (Cristo in realtà è stato tradito per una misera somma). Il participio passato «traduto» richiama il latino tradere, cioè consegnare, con riferimento alle parole di Giuda in Matteo XXVI, 15: «Quid vultis mihi dare, et ego vobis eum tradam?» [«Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?»]. 6 Soccurri… annunziato: Soccorrimi, Maddalena, un’immensa sventura (metaforicamente piena, cioè una sciagura cui non ci si può opporre) mi è giunta (ionta) addosso: Cristo, <mio> figlio, viene portato via (se mena) com’era <stato> profetizzato (com’è annunziato). Maria, riferendosi alle profezie, sembra qui mostrare – in contrasto con quanto avveniva in precedenza – una certa consapevolezza teologica del destino del figlio. Sua (muta) interlocutrice è Maria Maddalena, la donna destinata a vedere per prima Cristo dopo la Resurrezione. 7 Soccurre… Pilato: Soccorri, o Signora, aiuta<lo>, perché (cà) a tuo figlio si sputa e la gente lo porta via (lo muta); lo hanno (òlo) consegnato a Pilato (il procuratore romano della Giudea che decise la crocifissione di Cristo). Per il verbo «muta» abbiamo seguito l’indicazione di Contini: lo trasferisce dal sinedrio al tribunale di Pilato; ma si potrebbe intendere, secondo le indicazioni di Ageno, lo muta d’abito; oppure secondo Pasquini, lo scambiano con Barabba. Tutte e tre le parafrasi proposte hanno riscontro nei Vangeli (cfr. Matteo, XXVII, 2, 28 e 21). 8 O Pilato… accusato: O Pilato, non fare tormentare mio (meo) figlio, perché io ti posso (te pòzzo) dimostrare (mustrare) come è stato accusato a torto. Di nuovo, il discorso di Maria e la sua protesta d’innocenza sono tutti interni alla logica puramente umana della madre. 9 Crucifige… senato: Crocifiggilo, crocifiggilo (crucifige, imperativo latino)! Chi (omo che) si proclama re (se fa rege), secondo la nostra legge contraddice al potere romano (senato, metonimia). Fonte di questi versi è Giovanni, XIX, 15 («Ille autem clamabant: tolle, tolle, crucifige eum» [«Ma quelli gridarono: “Via, via, crocifiggilo!”»]) e XIX, 12 («Omnis enim qui se regem facit, contradicit Caesari» [«Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare»]). 10 Prego… pensato: Vi prego di capirmi (che mm’entennate), pensate al (nel) mio dolore: forse (forsa, dal latino forsan) voi ora (mo, avverbio di tempo tipico dei dialetti centro-meridionali) cambierete <opinione> riguardo a ciò che (de che) avete pensato. 11 Traiàn… chiamato: Tiriamo fuori <dal carcere> i ladroni, che siano i suoi (soi) compagni (compagnuni; il sostantivo indica, in senso spregiativo, i compagni di brigata): venga incoronato (s’encoroni) di spine, perché si è proclamato (clamato, dal latino clamare) re. Il riferimento è ancora una volta ai Vangeli (cfr. Matteo, XXVII, 38). 12 O figlio… angustiato: O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio! Figlio, chi conforta il (dà consiglio al) mio cuore tormentato? La ripetizione della parola «figlio» (che nella lauda ricorre per ben quaranta volte) genera un pathos immediato e di facile percezione per un pubblico popolare, in accordo con la tendenza all’umanizzazione del sacro che caratterizza questa lauda. Il giglio è simbolo di purezza. 13 Figlio… lattato: O figlio dagli occhi giocondi, o figlio, come mai (co’) non rispondi? O figlio, perché ti nascondi al petto dal quale sei stato allattato (o’ si’ lattato; il petto indica, per sineddoche, la madre)? Sul piano stilistico, si noti l’accostamento diretto (v. 44) tra il sostantivo «figlio» e l’apposizione «occhi iocundi», che ha funzione di complemento di qualità (figlio dagli occhi giocondi); tale semplificazione sintattica è funzionale alla destinazione popolare del testo: come nota Contini, tipico di Jacopone è l’uso di presentare «coordinazione e impressione anziché subordinazione e prospettiva». 14 Madonna… levato: Madonna, ecco la croce che la gente porta (l’aduce: il pronome personale «l’» è pleonastico), sulla quale <Cristo>, la vera luce, deve (dèi) essere innalzato (levato, concordato al maschile con il sottinteso «Cristo»). 15 O croce… peccato: O croce, e cosa farai? Prenderai (torrai) mio figlio? E di cosa accuserai (que ci aponerai) <colui> che non ha (non n’à) in sé <alcun> peccato? 16 Soccurri… martirizzato: Soccorri<lo>, <o>, piena di dolore, perché (cà) tuo figlio viene spogliato; pare che la gente voglia che sia martirizzato. L’invocazione alla Madonna «plena de doglia» rimanda all’Ave Maria («gratia plena».) 17 Se i… ensanguenato: Se gli (i) togliete le vesti (el vestire) lasciatemelo (lassatelme) vedere, come nel ferirlo crudelmente l’hanno tutto insanguinato! Gli infiniti «vestire» e «firire» sono sostantivati. 18 Donna… ficcato: Donna, gli viene presa la mano, e nella (ennella) croce viene stesa; con un chiodo (bollon) l’hanno spaccata (fesa), tanto ce l’hanno ficcato. 19 L’altra… multiplicato: Si prende l’altra mano, la si stende nella croce, e diviene più vivo (s’accende) il dolore, che è ulteriormente accresciuto (ch’è più multiplicato). 20 Donna… sdenodato: Donna, si prendono i piedi (li pè) e li si inchiodano (clavèllanse, verbo derivato dal sostantivo latino clavus, “chiodo”) al legno (lenno); aprendo ogni giuntura, lo hanno tutto slogato (sdenodato). Questa strofa e le due precedenti contengono il racconto in presa diretta della crocifissione (notevole l’indugio sui particolari anatomici e il rallentamento del ritmo narrativo prodotto dal succedersi – quasi cinematografico – dei primi piani su ciascuna delle mani e poi sui piedi di Cristo). Da questo momento il Nunzio scompare ed entra in scena Gesù. 21 Et eo… dilicato: E io comincio il lamento funebre (corrotto); <o> figlio, mia consolazione (deporto, provenzalismo da deport), figlio, chi ti ha ucciso (t’ha morto), figlio mio squisitamente bello (delicato: l’aggettivo assume secondo Contini questo significato, richiamando il latino deliciae)? Il «corrotto», lamento funebre (dal latino cor ruptus o animus corruptus) era un rito pubblico largamente praticato. Qualcuno ha ipotizzato una interpolazione del verso 76, in cui Maria (in effetti con scarsa verosimiglianza psicologica) annunzia, con una sorta di fredda didascalia, che sta per iniziare il suo disperato lamento. L’ipotesi potrebbe essere rafforzata da una osservazione di carattere metrico: è questa, infatti, l’unica strofa di tutta la lauda in cui alla rima si sostituisce l’assonanza («corrotto» : «deporto»). 22 Meglio… desciliato: Avrebbero (averieno) fatto meglio a strapparmi il cuore, che sulla croce è trascinato e ci sta (stace) straziato (desciliato). 23 O mamma… afferato: O mamma, dove (o’) sei venuta? Mi procuri una ferita mortale, poiché il tuo pianto, che vedo (ch’el veio) così angosciato (afferato), mi uccide (stuta: il verbo stutare, affine al francese tuer, è ancora usato in Italia meridionale col significato di spegnere). Significativo l’uso della parola «mamma» da parte di Cristo; l’etimo latino del termine indica infatti il petto, la mammella: si tratta quindi originariamente di una sineddoche, del tutto affine a quella con cui Maria aveva designato se stessa al v. 47, definendosi dinanzi al figlio come «petto o’ si lattato». 24 Figlio… spogliato: Figlio, <piango> perché io ne ho motivo (ch’eo m’aio anvito), <o> figlio, padre (pat’) e marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato? La triplice apposizione «figlio, pat’e mmarito», oltre a rappresentare l’intensità del legame umano tra madre e figlio, si spiega con riferimento alla Trinità: Cristo è visto come Padre (cioè Dio), come Figlio e come Spirito Santo: la parola «marito» appartiene infatti al campo semantico dell’amore, e perciò si collega allo Spirito, che è esso stesso amore (del resto, è proprio per virtù dello Spirito Santo che Maria ha concepito Gesù). Siamo di fronte alla contaminazione tra lessico dell’amor sacro e lessico dell’amor profano, già altre volte riscontrata nell’opera di Jacopone. Tale triplice apposizione ricorre nei testi latini che trattano della passione di Maria (come il Liber de Passione Christi et doloribus et planctibus Matris eius dello Pseudo Bernardo: «tu mihi pater… tu mihi sponsus, tu mihi filius». 25 Mamma… aquistato: Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga (remagni) e che assista i miei compagni, che ho (aio) acquistato nel mondo, cioè gli apostoli. 26 Figlio… fiato: Figlio, non dire questo! Voglio morire con te (teco), non mi voglio allontanare (partire) fino a quando non avrò più il respiro (fin che mo ’n m’esc’ el fiato). 27 C’una… scura: Che <noi due> abbiamo un’unica sepoltura (c’una aiàn sepultura: il congiuntivo «aiàn» ha valore desiderativo), <o> figlio di mamma infelice (scura). 28 trovarse… affocato: la proposizione infinitiva retta da «trovarse» si può, secondo Contini, parafrasare così: che madre e figlio soffocato (affocato; ma può anche significare ucciso con violenza) siano(trovarse) nel fondo della prostrazione (afrantura)! 29 Mamma… appellato: O mamma col cuore afflitto, ti metto nelle mani di Giovanni, mio prediletto; sia chiamato tuo figlio. Queste parole, come quelle della strofa successiva, ricalcano direttamente il Vangelo (Giovanni, XIX, 26-27). 30 Ioanni… furato: Giovanni, ecco mia madre (èsto mea mate): prendila nel tuo amore (tollile en caritate), abbine (àggine) pietà, perché ha il cuore così trafitto (furato). 31 Figlio… attossecato: Figlio, l’anima ti è uscita, o figlio della smarrita (il participio indica la condizione di Maria che ha perso ogni ragione per vivere), figlio della disperata (sparita: significa distrutta, annichilita dal dolore), figlio avvelenato (attossecato)! Il participio «attossecato» è usato in modo metaforico: Cristo infatti ha bevuto il calice con cui si addossa le colpe del mondo (cfr. Giovanni, XVIII, 11). Ma potrebbe esserci anche un riferimento a Matteo, XXVII, 48, dove si racconta del centurione che inumidisce le labbra di Cristo in croce con una spugna imbevuta di aceto. 32 Figlio… lassato: figlio bianco e rosso, figlio senza simili (senza somiglio), figlio, a chi mi rivolgo (m’apiglio)? Figlio, mi hai veramente abbandonata (pur m’ài lassato)! La dittologia «bianco e vermiglio» è frequente in Jacopone per designare la bellezza del volto; un precedente lo si ritrova nel Cantico dei Cantici, V,10 («il mio diletto è bianco e rosso»); l’aggettivo «vermiglio» è però di derivazione provenzale. 33 Figlio… sprezzato: Figlio bianco e biondo, figlio dal volto che dà gioia (giocondo); figlio, perché il mondo ti ha così disprezzato? 34 Figlio… trattato: Figlio dolce e piacente, figlio dell’addolorata (dolente), figlio, la gente ti ha (àte) trattato malamente. 35 Ioanni… profitizzato: Giovanni, nuovo figlio, è morto tuo fratello (’l tuo fratello: l’articolo determinativo «’l» davanti al possessivo, con alcuni nomi di parentela, è un uso antico ancor oggi presente nel dialetto toscano). Ora sento la ferita (’l coltello: metonimia) che fu profetizzata. Nei Vangeli, Simeone predice a Maria il destino di Gesù e il suo dolore di madre: «tuam ipsius animam pertransiet gladius» [«E anche a te una spada trafiggerà l’anima»] (cfr. Luca, II, 35). 36 Che… impiccato: Che muoiano (moga) il figlio e la madre afferrati da un’<unica> morte; che madre e figlio appeso (impiccato) si trovino abbracciati (abbraccecate: la finale «e» per «i» è un tipico tratto umbro, come nel precedente «afferrate»). La stessa invocazione è presente nei testi latini che trattano della sofferenza di Maria (ad es. Pseudo Bernardo: «mors… trucida matrem et cum filio periri simul»; anche l’uso del participio «impiccato» potrebbe derivare dallo Pseudo Bernardo: «suspendite matrem cum suo pignore»).
Livello metrico Lauda drammatica, strutturata secondo le forme della ballata sacra, composta da quartine di versi settenari rimati. Lo schema è xxy per la ripresa, aaay per la strofa: l’ultimo verso è a rima costante (-ato). È presente anacrusi ai vv. 25, 28, 56, 69, 76 e 128. Escludendo la prima terzina, che funge da ripresa e da prologo, le strofe sono esattamente 33, come gli anni di Cristo. Ai vv. 81-82 è presente una rima equivoca («tratto» : «tratto»); frequenti sono le rime siciliane. In un solo caso (vv. 76-77) si ritrova un’assonanza in luogo della rima («corrotto» : «deporto»); anche per questo non appare del tutto infondato il sospetto di una interpolazione del v. 76, peraltro non facilmente conciliabile con lo stato d’animo del personaggio di Maria. Livello lessicale, sintattico, stilistico La lauda presenta l’alternanza di due fondamentali registri linguistici. Il primo di essi è il sermo cotidianus, che caratterizza l’umanità di Maria e di Cristo (si pensi a forme verbali come «stuta», v. 86, o «lagni», v. 92). Significativi, in particolare, i sostantivi che connotano il rapporto madre-figlio: oltre alla disperata ripetizione del vocativo «figlio» da parte di Maria, spicca il «mamma» con cui ripetutamente Cristo si rivolge alla Madonna (vv. 84, 92, 104), variante intima e affettuosa del più solenne «mate» (presente a v. 108, quando Cristo detta a Giovanni una sorta di testamento spirituale), ma soprattutto parola etimologicamente connessa con l’area semantica dell’allattamento, e quindi con la fisicità del rapporto madre-figlio; quella stessa fisicità cui si riferisce anche Maria quando, rivolta al figlio, si definisce per sineddoche come il «petto o’ si lattato» (v. 47). A questa prima serie se ne affianca una seconda di derivazione colta, che presenta forme latine ed evidenti richiami evangelici. È il lessico con cui si esprime il Popolo chiamato in causa da Pilato: si vedano l’imperativo «crucifige» di v. 28, e le forme «rege» - «lege» (anch’esse morfologicamente vicine al latino) dei vv. 29-30. Anche nelle parole del Nunzio si riscontrano latinismi come «allide» (v. 5), cui vanno accostate forme apparentemente non dotte, ma che svelano pienamente il proprio significato solo dal confronto con la fonte evangelica latina (come il «traduto» di v. 12). Va però notato che, nei versi recitati dal Popolo e dal Nunzio, è abbondantemente presente anche il lessico realistico di impronta popolare (si pensi allo «sputa» di v. 21 o alla rima «latruni» : «cumpagnuni» dei vv. 36-37). Echi provenzali sono riscontrabili nel linguaggio di Maria (si pensi al sostantivo «deporto» del v. 77 o all’aggettivo «vermiglio» del v. 116), il cui sentimento di amore materno si esprime del resto in forme umanissime, che sconfinano lessicalmente nell’area dell’amor profano (cfr. v. 89). Merita attenzione infine la descrizione della crocifissione, condotta con una cura del particolare anatomico di tipo espressionistico (vv. 64-75). A un risultato espressionistico conduce anche l’uso di aggettivi o participi passati, come il popolaresco «abbraccecate» (v. 134) e i non comuni «descilïato» (v. 83), «afferato» (v. 87), «affocato» (v. 103), «attossecato» (v. 115). La sintassi è semplice: domina la coordinazione, talora per asindeto; particolare importanza assumono gli infiniti esclamativi (vv. 102, 134). Decisivo, nel creare il pathos della lauda, è l’uso di anafore e iterazioni. Livello tematico La dimensione teatrale del testo e la “Passione della Vergine” La lauda racconta gli ultimi, drammatici momenti della vita di Cristo e si caratterizza per il fatto che l’attenzione, anziché sulla sofferenza di Gesù, è focalizzata su quella della Madonna. Attingendo ai Vangeli, ad alcuni testi latini che avevano già messo in primo piano la sofferenza della Vergine1, a rappresentazioni sacre diffuse nel XII secolo in Italia settentrionale2 e centrale3, Jacopone mette in scena una sorta di Passione della Vergine. L’impostazione teatrale di questo testo — con tutta evidenza differente da quelli fin qui antologizzati — si inserisce nella tradizione della lauda perugina, che si orientava, piuttosto che verso l’ascetismo o il misticismo, nella direzione di una divulgazione del Vangelo e di una umanizzazione dei temi religiosi. La lauda perugina era affidata alla recitazione di alcuni solisti e di un coro, e costituisce un passo importante verso quello spettacolo che nel Quattrocento avrebbe preso il nome di “sacra rappresentazione”. Le caratteristiche tematiche della lauda perugina contribuiscono a spiegare uno dei dati più significativi di questa lauda: il fatto cioè che la passione della Vergine risulti, in gran parte, una passione profondamente umana; che Maria appaia, più che come «donna de Paradiso», anzitutto come una madre disperata; che si mostri spesso ignara delle implicazioni teologiche della sofferenza del figlio4. L’incomunicabilità tra Maria ed i vari interlocutori (vv. 4-83). Le prime venti strofe che seguono alla ripresa (e cioè i vv. 4-83) hanno funzione prettamente diegetica. La narrazione è affidata in gran parte al Nunzio, che esorta Maria a correre ai piedi della croce e interviene successivamente (vv. 64-75) a descrivere i particolari della crocifissione in maniera fortemente realistica. A fronte di questo racconto stanno le invocazioni della Madonna, che — inutilmente — cerca di chiamare in causa vari interlocutori. Dapprima viene invocato l’aiuto della Maddalena (vv. 16-19), che però tace; all’invocazione rivolta a Pilato (vv. 24-27) risponde implicitamente, in modo ostile, la folla, il cui Crucifige sancisce la scelta in favore di Barabba. Nessun effetto ottiene neanche l’invocazione al Popolo (vv. 32-35). Allora Maria invoca ripetutamente il figlio, con significativi riferimenti alla fisicità del legame (v. 47, vv. 60-63). Infine, in mancanza di una risposta, Maria chiama come sua interlocutrice la croce, ribadendo la propria umanissima ma inascoltata protesta sull’innocenza di Gesù (v. 55). Si è detto prima che la Passione di Cristo diviene qui Passione della Vergine; ma si potrebbe osservare che, prima ancora che alla Passione, il personaggio di Maria rimanda al dogma della Incarnazione: la Madonna è madre e in nome di questo legame invoca su di sé tutte le sofferenze del figlio (significativo in tal senso il lamento dei vv. 76-83). La crocifissione viene descritta in tre strofe (vv. 64-75), collocate esattamente al centro del componimento: la lauda potrebbe pertanto essere suddivisa in un primo blocco di quindici strofe (che contengono il dialogo, o meglio il mancato dialogo tra Maria e gli altri personaggi) e in altre quindici strofe che contengono il lamento funebre (che comincia con i già citati vv. 76-83 e riprende da v. 112 alla fine) inframmezzato dall’unico vero dialogo del componimento: quello tra la madre e il figlio.5 Il dialogo tra la Madre ed il Figlio (vv. 84-111). A tale dialogo sono dedicate sette strofe. Si tratta, anche stavolta, di un dialogo segnato da una forte incomunicabilità. La voce di Cristo che scende dall’alto della croce appartiene a una dimensione soprannaturale, molto diversa da quella di Maria. Dapprima egli rimprovera affettuosamente la madre per essersi recata in quel luogo; poi le ricorda il suo dovere di rimanere a fianco degli apostoli; infine, di fronte al disperato «voglio teco morire» del v. 97, la affida all’apostolo Giovanni. Non è certo casuale che Cristo pronunci esattamente tre battute, come non era casuale il fatto che il racconto della crocifissione fosse anch’esso contenuto in tre strofe (vv. 64-75): si tratta di riferimenti impliciti alla Trinità e quindi alla natura divina di Gesù. Maria invece rimane umanissima perfino quando chiama in causa il mistero della Trinità: la triplice invocazione del v. 89 («figlio, pat’e mmarito»), trasferisce infatti lo Spirito Santo in una dimensione quotidiana e familiare (tanto che il verso può tranquillamente interpretarsi come l’affermazione che, per una madre, il proprio figlio è tutto). Il piano soprannaturale su cui si muove Cristo e quello umano di Maria si intersecano tuttavia nell’uso di una parola, il vocativo «mamma», ripetuto per tre volte da Cristo; una parola che rimanda etimologicamente, come si è notato nel commento, a quella stessa fisicità dell’allattamento già richiamata da Maria al v. 47. Il corruptus (vv. 112-135). Il lamento funebre, interrotto al v. 83, ricomincia nell’ultima parte della lauda e si protrae fino alla fine. La scena drammatica cede il posto all’elegia, con un crescendo patetico affidato in gran parte all’iterazione del vocativo «figlio». Abbiamo già detto che la Passione rappresentata nella lauda, più ancora che quella di Cristo, sembra essere quella della Vergine. È vero che in questi ultimi versi la figura di Maria attinge a momenti di parziale consapevolezza delle implicazioni teologiche del destino del Figlio (vv. 130-131, ma lo stesso era già accaduto al v. 19); più significativa ci sembra però l’invocazione dei versi che chiudono la lauda (vv. 132-135): Maria infatti torna a invocare la propria morte insieme a quella di Cristo, rifacendosi al tema già svolto ai vv. 100-104. Il parallelismo tra le due quartine è tutt’altro che casuale, ed è confermato da precisi richiami di ordine formale (si pensi al ritorno dell’infinito con funzione esclamativa «trovarse», vv. 102 e 134; o all’uso di participi o aggettivi con forte connotazione espressionistica, come «affocato» di v. 103, «abraccecate» e «impiccato» dei vv. 134-135). In sostanza Maria non esce dalla propria dimensione semplicemente umana; e il lamento con cui si chiude la lauda costituisce una conferma della sostanziale incomunicabilità tra il piano umano e il piano divino.
1 Di notevole successo erano due testi attribuiti a Anselmo d’Aosta e Bernardo di Chiaravalle: il Dialogus beatae Mariae et Anslemi de Passione Domini; il Liber de Passione Christi et doloribus et planctibus Matris eius. 2 Il tema della protesta della Madonna per l’uccisione del proprio figlio era diffuso già nel XII sec., in particolare nell’Italia settentrionale, ed era oggetto di rappresentazioni delle comunità catare o patare, successivamente riprese da monaci contestatori. Jacopone si inserisce in questo filone, ma si distanzia da quella tradizione che vede la Madonna protagonista di una tragica protesta nei confronti dell’arcangelo Gabriele, col quale intesse un aperto “contrasto”. 3 Si ricordano in particolare una Lamentatio abruzzese ed un Pianto delle Marie marchigiano. 4 Si ricordi però che, come si è osservato nelle note, il personaggio di Maria non appare in tal senso interamente coerente. 5 Cfr. F. Mancini, “Tradizione ed innovazione in Donna de Paradiso”, in Atti del Convegno storico jacoponico, a cura di E. Menestò, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp.155-176.
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