|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
10. A me medesimo incresce andarmi tanto tra tante miserie ravolgendo: per che, volendo omai lasciare star quella parte di quelle che io acconciamente posso schifare, dico che, stando in questi termini la nostra città, d’abitatori quasi vota, addivenne, sì come io poi da persona degna di fede sentii, che nella venerabile chiesa di Santa Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, uditi li divini ufici in abito lugubre quale a sì fatta stagione si richiedea, si ritrovarono sette giovani donne tutte l’una all’altra o per amistà o per vicinanza o per parentado congiunte, delle quali niuna il venti e ottesimo anno passato avea né era minor di diciotto, savia ciascuna e di sangue nobile e bella di forma e ornata di costumi e di leggiadra onestà1. Li nomi delle quali io in propria forma racconterei, se giusta cagione da dirlo non mi togliesse, la quale è questa: che io non voglio che per le raccontate cose da loro, che seguono, e per l’ascoltate, nel tempo avvenire alcuna di loro possa prender vergogna, essendo oggi alquanto ristrette le leggi al piacere che allora, per le cagioni di sopra mostrate, erano non che alla loro età ma a troppo più matura larghissime; né ancora dar materia agl’invidiosi, presti a mordere ogni laudevole vita, di diminuire in niuno atto l’onestà delle valorose donne con isconci parlari2. E però, acciò che quello che ciascuna dicesse senza confusione si possa comprendere appresso, per nomi alle qualità di ciascuna convenienti o in tutto o in parte intendo di nominarle: delle quali la prima, e quella che di più età era, Pampinea chiameremo e la seconda Fiammetta, Filomena la terza e la quarta Emilia, e appresso Lauretta diremo alla quinta e alla sesta Neifile, e l’ultima Elissa non senza cagion nomeremo3. 1 A me medesimo… onestà: A me stesso dispiace (incresce) di andarmi tanto aggirando (ravolgendo) tra tante miserie: per cui, volendo ormai tralasciare (lasciar stare) quella parte di esse che io posso evitare (schifare) senza danni <per il racconto> (acconciamente), dico che, mentre la nostra città era in questa condizione (stando in questi termini la nostra città), quasi spopolata (d’abitatori quasi vota), avvenne, come io in seguito sentii <raccontare> da una persona degna di fiducia (fede), che nella venerabile chiesa di Santa Maria Novella, un martedì mattina, mentre non vi era (non essendovi) quasi nessun altro, dopo avere ascoltato il rito religioso (uditi li divini ufici) in abito da lutto (lugubre), come era conveniente (si richiedea) a una tale situazione (sì fatta stagione), si incontrarono (ritrovarono) sette giovani donne, tutte legate (congiunte) l’una all’altra per amicizia, per vicinanza o per parentela, delle quali nessuna aveva superato i ventott’anni o era minore di diciotto, ciascuna <delle quali> saggia (savia), nobile di sangue, bella d’aspetto (forma), raffinata (ornata) nei costumi e di piacevole onestà. 2 Li nomi… con isconci parlari parlari: Delle quali io direi quali fossero veramente (in propria forma racconterei) i nomi, se non me lo impedisse (da dirlo non mi togliesse) una giusta ragione, che è questa: che io non voglio che a causa delle (per le) cose raccontate da loro, che seguono <nella mia narrazione>, o a causa di quelle <da loro> ascoltate, in futuro (nel tempo avvenire) qualcuna di loro se ne possa vergognare, essendo oggi divenute assai più rigide le regole <di costume> (alquanto ristrette le leggi) <relative> al piacere, <regole> che, per le cause sopra indicate (mostrate), erano estremamente tolleranti (larghissime) oltre che verso la gioventù (non che a la loro età), anche verso <un’età> assai più avanzata (troppo più matura); né inoltre (ancora) <vorrei> dare la possibilità (materia) agli invidiosi, pronti (presti) a criticare severamente (mordere) ogni vita lodevole, di sminuire in nessuna azione (in niuno atto) l’onestà delle donne di buoni costumi (valorose) con discorsi scurrili (isconci parlari). 3 E però… non senza cagion nomeremo: E perciò, affinché (acciò che) si possa comprendere senza difficoltà (confusione) qui di seguito (appresso) ciò che ciascuna <di esse> abbia detto, desidero indicarle (intendo di nominarle) con (per, complemento di mezzo) nomi convenienti, in tutto o in parte, alle qualità di ciascuna: e la prima di esse (delle quali), e quella che era maggiore di età (di più età), la chiameremo Pampinea, la seconda Fiammetta, la terza Filomena, la quarta Emilia, e in seguito chiameremo la (diremo alla) quinta Lauretta e la sesta Neifile, e chiameremo l’ultima Elissa, non senza motivo. I nomi delle giovani sono stati oggetto di numerosi studi. Tra le più accreditate etimologie vi sono le seguenti: “la rigogliosa” (Pampinea), “l’ardente di passione” (Fiammetta), “l’amata” o “l’amante del canto” (Filomena), “la lusinghiera” (Emilia), “la nuova innamorata” (Neifile); per Elissa (nome con cui è tradizionalmente designata Didone) appare chiaro il significato di “amante infelice”; il nome di Lauretta allude evidentemente alla donna amata da Petrarca. È da notare che i nomi di Pampinea, Emilia, Fiammetta ed Elissa erano già presenti nelle opere giovanili di Boccaccio. 4 Le quali… a ragionare: Ed esse, non indotte (non già… tirate) da alcuna intenzione (proponimento), ma riunitesi per caso in una parte della chiesa, postesi a sedere quasi in cerchio, avendo cessato (lasciato stare) dopo molti (più) sospiri di dire delle preghiere (il dir de’ paternostri: la stessa espressione è in Dante, Purgatorio, XXVI, 130), cominciarono a discutere (ragionare) tra sé (seco) <su> molti e diversi aspetti (molte e varie cose) delle condizioni di quei tempi (qualità del tempo). 5 E dopo alcuno spazio… degli uomini: E dopo poco tempo (alcuno spazio), mentre le altre tacevano, Pampinea cominciò a parlare così: «Mie care donne, voi potete avere sentito <dire> molte volte, come è successo a me (così come io), che chi onestamente esercita (usa) il proprio diritto (ragione) non commette ingiustizia (ingiuria) verso nessuno. È diritto naturale di chiunque nasce in questo mondo (ci, lett. qui) tutelare (aiutare), conservare e difendere quanto può la sua vita: e questo <diritto> è riconosciuto (concedesi) al punto (tanto), che alcune volte è già accaduto (addivenuto) che, per difendere (guardar) quella (ossia la propria vita), senza alcuna colpa sono stati uccisi degli uomini». Pampinea sottolinea che la tutela della propria vita è un diritto così universalmente riconosciuto che, in determinate circostanze, diventano non punibili perfino gli omicidi commessi per legittima difesa. 6 E se questo… che noi possiamo: «E se le leggi, che provvedono (nelle sollecitudini delle quali è) all’onesta vita (il ben vivere) di ogni uomo, consentono <perfino> questo (cioè l’uccisione di altri uomini per legittima difesa), quanto più (maggiormente) è lecito (onesto) a noi e a chiunque altro, senza <far> torto a nessuno, prendere quei provvedimenti (rimedii) che possiamo per la conservazione della nostra vita?» 7 Ognora che io vengo… alcun compenso: «Ogni volta che io ripenso attentamente (vengo ben ragardando) ai nostri comportamenti (modi) di questa mattina, e anche a quelli di molte (più) altre <mattine> passate, e <ogni volta che> penso (pensando, al gerundio perché dipende da «vengo») di quale natura e qualità (chenti e quali) siano i nostri discorsi (ragionamenti), io comprendo, e allo stesso modo (similemente) potete comprenderlo voi, che ciascuna di noi ha paura per se stessa (di se medesima dubitare, consueto costrutto con l’infinito alla latina); e di questo non mi meraviglo affatto (niente), ma <invece> mi meraviglio molto (forte), <pur> sapendo (avvedendomi) che ciascuna di noi ha temperamento di donna, che non venga da voi preso (non prendersi per voi) alcun provvedimento (compenso) contro quello (a quello) che ciascuna di voi giustamente (meritamente) teme». Pampinea si meraviglia dunque che le donne, naturalmente e legittimamente preoccupate, non abbiano ancora preso provvedimenti contro tale paura. 8 Noi dimoriamo… miserie: «Noi rimaniamo (dimoriamo) qui, a mio parere, proprio come se (non altramente che se) volessimo o dovessimo essere testimoni (testimonie, forma plurale femminile da “testimonio”) di quanti cadaveri siano qui (ci, riferito alla chiesa) portati (recati) per la sepoltura, o <come se volessimo o dovessimo > ascoltare (d’ascoltare: la preposizione «d’» si spiega perché grammaticalmente l’infinito è retto da «testimonie») se i frati di questa chiesa (qua entro), che sono rimasti in pochi (de’ quali il numero è quasi venuto al niente) celebrino le loro funzioni cantate (cantino i loro ufici) alle ore dovute, o <come se volessimo o dovessimo> esibire (dimostrare) a chiunque ci compare <davanti>, attraverso (ne’) i nostri abiti <da lutto>, la natura (qualità) e la quantità delle nostre sofferenze (miserie)». Pampinea mette in evidenza, attraverso l’ironia, che rimanere in città e trascorrere il tempo in chiesa è cosa inutile e contraria alla «natural ragione» di cui ha prima parlato. 9 E se… danni: «E se usciamo di qui (di quinci), o vediamo i corpi <dei> morti o <dei> malati che vengono trasportati tutt’intorno (trasportarsi da torno), oppure vediamo correre qua e là (per la terra discorrere), compiendo turpi violenze (con dispiacevoli impeti), coloro che per le loro colpe (difetti) l’autorità delle pubbliche leggi già condannò all’esilio, quasi schernendo le leggi (quelle), poiché sanno (per ciò che sentono) <che> gli esecutori di esse <sono> o morti o malati, oppure <vediamo> le persone peggiori (la feccia, metafora) della nostra città, eccitate (riscaldata, al singolare perché concordato con «feccia») dal nostro sangue, farsi chiamare becchini e andare cavalcando e scorrazzando (discorrendo) per ogni luogo (per tutto), con nostro strazio, deridendo (rimproverandoci) le nostre disgrazie (danni) con canzoni immorali (disoneste)». 10 né altra… udiremmo: «né udiamo qui (ci) <dire> altro che “Questi (I cotali) sono morti” e “Questi altri (Gli altretali) stanno per morire”; e, se ci fosse chi li facesse (chi fargli), dappertutto udremmo pianti di dolore». 11 E se alle nostre case… spaventarmi: «E se torniamo alle nostre case, non so se a voi succede (adiviene) come a me: io, non trovando in quella <casa>, della numerosa servitù (di molta famiglia), nessun’altra persona se non la mia domestica (fante), impaurisco e mi sento quasi arricciare tutti i capelli addosso e mi sembra, dovunque io vada o mi trovi (dimoro) in essa (per quella, sempre riferito alla casa), di vedere le anime (ombre) di coloro che sono morti (trapassati), e non con quei visi che io ero solita <vedere>, ma <li vedo> spaventarmi con un aspetto (vista) orribile, non so in che modo (donde) stranamente acquisito da loro (in loro nuovamente venuta, riferito a «vista»)». 12 Per le quali cose… altri che noi: «Per cui mi sembra di star male sia (e) qui (in chiesa), sia fuori di qui (in strada), sia in casa, e tanto più ancora <mi sembra di star male> in quanto mi pare (egli mi pare: il pronome «egli» è usato come soggetto del verbo impersonale «parere», secondo una costruzione analoga a quella francese) che, a parte noi (altri che noi) qui (ci, ossia in città) non sia rimasta nessun’altra persona che abbia qualche possibilità economica (polso) e <un luogo fuori dalla città> dove possa andare <a rifugiarsi>». Pampinea osserva che in città, a parte appunto le donne presenti, sono rimasti solo coloro che non hanno alternative. 13 E ho sentito… porgono: «Ed ho sentito e visto più volte quelli <che hanno possibilità e luogo dove rifugiarsi> (quegli cotali), se ancora ce ne sono alcuni, fare quelle cose che danno loro maggior diletto, senza distinguere ciò che è onesto da ciò che è disonesto, purché il loro istinto le chieda (solo che l’appetito le cheggia), sia soli che in compagnia, sia di giorno che di notte». 14 e non che… dissolute: «e non soltanto (non che) i laici (le solute persone, ossia le persone sciolte da vincoli religiosi), ma anche i monaci (le racchiuse ne’ monisteri, riferito a «persone»), inducendosi (faccendosi) a credere che ciò convenga loro e sia sconveniente (si disdica) solo agli altri, rotte le leggi dell’obbedienza (alla regola monastica), essendosi dati ai piaceri carnali, ritenendo (avvisando) di scampare <al pericolo> in tal modo (guisa), sono divenuti lascivi e dissoluti». Si noti la figura etimologica che collega «solute» e «dissolute», participi con funzione attributiva collocati all’inizio e alla fine del periodo. 15 E se così è… d’offenderla?: «E se le cose stanno così (se così è), come (che) evidentemente (manifestamente) si vede che stanno (essere, infinito retto da «si vede», segue il consueto costrutto latineggiante), cosa facciamo noi qui? cosa aspettiamo? cosa immaginiamo (sognamo)? <restiamo qui> perché siamo più pigre e meno attente (più lente) alla nostra salute di (che) tutto il resto (rimanente) dei cittadini? ci consideriamo (reputianci) noi meno importanti (care) di tutte le altre? o crediamo che la nostra vita sia legata al nostro corpo con catene più forti di quelle <con cui> è (sia) <legata al corpo> quella degli altri, e <pensiamo che> di conseguenza (così) non dobbiamo preoccuparci (curar) di nessuna (niuna) cosa che abbia la capacità (forza) di metterla in pericolo (offenderla)»? 16 Noi erriamo… apertissimo argomento: «Noi sbagliamo, noi siamo ingannate: che stoltezza (bestialità) è la nostra se pensiamo così? tutte le volte che (quante volte) noi ci vorremo ricordare di quale natura e qualità (chenti e quali) siano stati i giovani e le donne uccisi (vinte, al femminile perché concordato con il sostantivo più vicino, «donne») da questa crudele pestilenza, noi ne vedremo chiarissima dimostrazione (apertissimo argomento)». 17 E per ciò… prendessimo: «E dunque, affinché (acciò che) noi per sdegnosità (ischifaltà) o per trascuratezza (traccutaggine, francesismo) non cadiamo (cadessimo) in quel <pericolo> a cui noi forse (per avventura) potremmo scampare in qualche modo (per alcuna maniera), purché volessimo (volendo), non so se a voi sembrerà <opportuno> quello che a me parrebbe <opportuno>: io giudicherei cosa molto buona (ottimamente fatto) che noi, nelle nostre condizioni (sì come siamo), così come molti prima di noi (innanzi a noi) hanno fatto e fanno, partissimo (uscissimo) da questa città (di questa terra), e fuggendo come la morte i disonesti esempi degli altri, ce ne andassimo a stare onestamente nei nostri poderi (luoghi) in campagna (contado), <poderi> che tutte possediamo in abbondanza (de’ quali a ciascuna di noi è gran copia, dativo di possesso esemplato sul latino), e <giudicherei cosa molto buona che> lì (quivi, avverbio di luogo che in questo passo indicherà sempre la campagna, in contrapposizione alla città indicata con «qui») godessimo (prendessimo) quel divertimento (festa), quell’allegria, quel piacere che noi potessimo <godere>, senza trapassare in alcuna azione il limite (segno) della ragione». 18 Quivi… delle noie: «In quel luogo (Quivi) si sentono cantare gli uccellini, si vedono verdeggiare le colline e le pianure, e <si vedono> i campi coperti di messi (biade) ondeggiare non diversamente (altramenti) dal (che il) mare, e <si vedono> moltissime (ben mille) specie (maniere) di alberi, e <si vede> in modo più aperto <che in città> il cielo, il quale, benché (ancora che) sia con noi (ne sia) adirato (crucciato), non per questo ci nega le sue bellezze eterne, le quali sono molto più belle a vedersi (a riguardare) delle mura vuote della nostra città; e vi è (èvvi) inoltre un’aria assai più fresca, e vi è la più grande quantità (la copia maggiore) di quelle cose che in questi tempi sono necessarie alla vita, e <vi è> minore il numero delle cose spiacevoli (noie)». Nella descrizione del luogo, Pampinea utilizza il classico topos letterario del locus amoenus, che contrappone la vita felice della campagna a quella affannosa della città. 19 Per ciò che… gli abitanti: «Poiché, sebbene lì (quivi) muoiano i contadini (lavoratori) come fanno qui <in città> i cittadini, il dispiacere è tanto meno grande quanto più sono rari (rade, al femminile perché concordato con il sostantivo più vicino, «case»), rispetto alla città, le case e gli abitanti». 20 E qui d’altra parte… n’hanno lasciate: «E d’altra parte, se capisco bene (se ben veggio), noi qui <in città> non abbandoniamo nessuno (persona), anzi in verità ci (ne) possiamo dire molto più propriamente (molto più tosto) abbandonate: poiché i nostri <concittadini e familiari>, o morendo o fuggendo dalla morte, ci hanno lasciate da sole in tanta sofferenza (afflizione), quasi come se non appartenessimo a loro». 21 Niuna… avvenire: «Nessun biasimo (riprensione) dunque può colpirci (cadere) nel mettere in pratica (seguire) tale progetto (consiglio); non mettendolo in pratica potrebbe<ro> giungere dolore e noia, e forse la morte». 22 E per ciò… disonestamente: «E perciò, appena vorrete (quando vi paia), prendendo le nostre domestiche (fanti) e facendoci accompagnare (seguitare) <da loro> con i bagagli che ci servono (le cose oportune), credo che sia cosa giusta e necessaria (credo che sia ben fatto a dover fare) se godiamo (prendendo, gerundio con valore condizionale), oggi in questo luogo <di campagna> e domani in quell’<altro>, quell’allegria e festa che questa situazione (tempo) può concedere (porgere); e <credo che sia cosa giusta e necessaria> continuare a vivere (dimorare) in questo modo (in tal guisa) <fin> tanto che noi vediamo, se non siamo prima raggiunte dalla morte, quale conclusione (fine) il cielo prepari (riserbi) a questa situazione (queste cose). E ricordatevi che il partire (andare) onestamente non si disdice a noi più di quanto si disdica (faccia) a gran parte delle altre <donne> il rimanere (lo star) <in città> disonestamente. 23 L’altre donne… in cammino: Le altre donne, udita Pampinea, non soltanto lodarono il suo progetto, ma, <essendo> desiderose di metterlo in pratica (seguitarlo), avevano già cominciato a discutere tra sé più in dettaglio (più particularmente) del modo <di metterlo in pratica>, come se (quasi), alzandosi da sedere di lì (quindi), dovessero subito (a mano a mano) mettersi (entrare) in cammino. 24 Ma Filomena… regolare: Ma Filomena, la quale era molto saggia (discretissima), disse: «Donne, sebbene ciò che afferma (ragiona) Pampinea sia da condividere (ottimamente detto), non perciò bisogna correre a metterlo in pratica così, come sembra (mostra) che voi vogliate fare. Ricordatevi (Ricordivi) che noi siamo tutte donne, e non c’è nessuna <di noi> (e non ce n’ha niuna) così giovane da non poter sapere bene (che non possa ben conoscere) quanto (come) le donne si lascino guidare dalla ragione (sieno ragionate) <quando sono> tra di loro (insieme) e <quanto> si sappiano dare delle regole (regolare) senza l’aiuto (provedenza) di qualche uomo». Queste frasi vanno intese in senso negativo: Filomena sostiene che le donne non possono vivere da sole e senza la presenza degli uomini. 25 Noi siamo… paurose: «Noi siamo volubili (mobili), litigiose (riottose), sospettose, pusillanimi e paurose». Filomena fa propria la proverbiale rappresentazione della donna come essere troppo soggetto alle passioni ed alle emozioni, quindi incapace di autodeterminarsi. 26 per le quali cose… che cominciamo: «per cui io temo (dubito) fortemente, se noi non prendiamo nessun’altra guida diversa dalla nostra, che questa compagnia si sciolga (non si dissolva: l’avverbio di negazione ricalca la costruzione delle frasi latine in dipendenza dei verba timendi) con troppo anticipo e con minore nostro onore di quanto sarebbe necessario (che non ci bisognerebbe); e perciò è bene se provvediamo a questo (è buono a provederci) prima (avanti) che cominciamo». 27 Disse allora Elissa… non ne segua: Allora Elissa disse: «Certamente gli uomini comandano sulle donne (sono delle femine capo) e senza il loro comando raramente qualche nostra opera arriva (riesce) a una conclusione degna di lode: ma come possiamo noi trovare (avere) questi uomini? Ciascuna di noi sa che la maggior parte dei suoi <parenti> sono morti, e gli altri che sono rimasti vivi (che vivi rimasi sono) vanno fuggendo quello che noi cerchiamo di fuggire (cioè il contagio) chi qua e chi là, in diversi gruppi (brigate), senza che noi sappiamo (senza saper noi) dove; e non sarebbe (saria) cosa onorevole (convenevole) portare con sé (prendere) degli estranei (strani); per cui, se vogliamo aver cura (andar dietro) della (alla) nostra salute, è necessario (si convien) trovare una maniera di organizzarci (ordinarci) in modo tale (sì fattamente), che mentre (dove) andiamo <in campagna> per piacere (diletto) e per riposo, non ne consegua<no> (segua) dispiacere (noia) e discordia (scandalo)». 28 Mentre tralle donne… ma raffreddare: Mentre tra le donne avevano luogo tali discorsi (erano così fattti ragionamenti), ecco all’improvviso (e ecco: la congiunzione «e», che sembra annunciare una coordinata, introduce in realtà la proposizione che regge la precedente temporale) entrare nella chiesa tre <uomini> giovani, non però (per ciò) tanto che l’età di colui che tra loro era il più giovane fosse inferiore a venticinque anni. Nei quali né le avversità di quel periodo (perversità di tempo) né la perdita di amici o di parenti né la paura per (di) se stessi aveva potuto, non solo (non che) spegnere, ma <nemmeno> raffreddare l’amore. 29 De’ quali… d’alcuni di loro: Dei quali uno era chiamato Panfilo, il secondo Filostrato e l’ultimo Dioneo, <e> ciascuno <era> molto piacevole ed educato (costumato); e andavano cercando come loro massimo conforto (per loro somma consolazione), in una tale calamità (in tanta turbazione di cose) di vedere le loro donne, le quali per caso (per ventura) erano tutte e tre tra le sette di cui prima si è detto, a parte il fatto che (come che) alcune delle altre erano (ne fossero) strette (congiunte) parenti di alcuni di loro. Anche in questo caso, come si è già visto per le donne, gli pseudonimi hanno valore allusivo: Panfilo (“tutto amore”) è l’amante felice al contrario di Filostrato (“vinto d’amore”). Dioneo è invece “il venereo” (Dione era il padre della dea Venere): il suo nome allude a una gaudente sensualità. I nomi di Panfilo e Filostrato sono presenti nelle opere giovanili di Boccaccio. 30 Né prima esse… non schiferemo: Ed esse non furono viste da loro (Né… agli occhi corsero di costoro) prima che questi fossero visti da esse; per cui Pampinea sorridendo cominciò allora <a dire>: «Ecco che la fortuna è favorevole ai nostri propositi (cominciamenti), e ci ha (hacci) fatto arrivare (posti) davanti giovani saggi (discreti) e di valore (valorosi), che ci faranno volentieri da guida e da servitori, se non disdegneremo (schiferemo) di prenderli con questo compito (oficio)». 31 Neifile allora… che noi non siamo: Allora Neifile, divenuta tutta rossa (vermiglia) in viso per <la> vergogna, poiché (per ciò che) era una di quelle che erano amate (era amata: la proposizione relativa ha il verbo al singolare perché si riferisce al pronome «una») da uno dei giovani, disse: «Pampinea, per Dio, stai attenta (guarda) <a> quello che tu dici (dichi, forma popolare del congiuntivo presente). Io so benissimo (conosco assai apertamente) che non si può dire (dir potersi) altro che bene (niuna altra cosa che tutta buona) di ciascuno (di qualunque s’è l’uno) di costoro, e li considero (credogli) adeguati (sofficienti) a un compito di gran lunga più difficile (a troppo maggior cosa) di quanto non sia questo (che questa non è); e allo stesso modo ritengo (similmente avviso) che essi (loro) sono in grado di tenere (dover tenere) buona e onesta compagnia, non solo a noi, ma <anche> a <donne> molto più belle e importanti (care) di quanto noi siamo». 32 Ma, per ciò che… se gli meniamo: «Ma, poiché è cosa assai nota (assai manifesta) che essi siano (loro essere) innamorati di alcune <di noi> che sono qui (che qui ne sono), temo che, se li conduciamo (meniamo) con noi, ne segua per noi (non ce ne segua, consueto costrutto esemplato sui verba timendi latini) infamia e biasimo (riprensione), senza colpa nostra o loro». 33 Disse allora Filomena… favoreggiante: Allora Filomena disse: «Questo non importa (monta) niente; a condizione che (la dove) io viva onestamente e <che> la coscienza non mi rimproveri (rimorda) di nessuna colpa (alcuna cosa), parli <pure> contro di me (in contrario) chi vuole: Dio e la verità mi difenderanno (l’arme per me prenderanno, metafora). Piuttosto (Ora), magari (pur) fossero essi già disposti a venire, poiché <in questo caso> veramente, come ha detto Pampinea, potremmo dire che la fortuna sia favorevole (essere… favoreggiante) alla nostra partenza (andata). 34 L’altre… lor tener compagnia: Le altre, sentendo lei parlare in questo modo (così fattamente), non soltanto non obiettarono (si tacquero), ma con volontà unanime (consentimento concorde) chiesero tutte che essi (i tre giovani) fossero chiamati e che si spiegasse ad essi la loro intenzione, e che li si pregasse (pregassersi, infinito retto da «dissero che») che fosse per essi cosa gradita (che dovesse lor piacere) tenere compagnia ad esse in tale viaggio (così fatta andata). Si noti il ripetersi, per quattro volte, della parola «loro», con funzione a volte di pronome personale e a volte di aggettivo possessivo, con riferimento a volte ai giovani e a volte alle donne. 35 Per che senza più parole… dovessero disporre: Per cui, senza più parole, dopo essersi alzata in piedi, Pampinea, la quale era congiunta per parentela (consanguinità) con qualcuno di loro, si avvicinò (si fece) verso <di> loro che stavano fermi a guardarle e, dopo averli salutati con viso lieto, spiegò (fé manifesta) ad essi la loro decisione (disposizione) e li pregò a nome (per parte) di tutte che decidessero (si dovessero disporre) di accompagnarle con animo puro e fraterno. Come nel periodo precedente, ricorre ancora per quattro volte la parola «loro». 36 I giovani si credettero… in sul partire: I giovani credettero dapprima di essere vittime di una beffa, ma, dopo che capirono (videro) che la donna parlava seriamente (da dovero), risposero lietamente di essere pronti (sé essere apparecchiati, consueto costrutto infinitivo alla latina); e senza rallentare le operazioni (senza dare alcuno indugio all’opera), prima (anzi) che si allontanassero da lì (quindi, avverbio di moto da luogo riferito alla chiesa), disposero (diedono ordine a) ciò che era necessario fare (che a fare avessono) per la partenza. 37 E ordinatamente… primieramente ordinato: E avendo fatto predisporre (apparecchiare) con ordine ogni cosa necessaria, e dopo avere inviato (mandato) in anticipo (prima) <qualcuno> al luogo in cui intendevano andare, la mattina seguente, cioè il mercoledì, all’alba (in su lo schiarir del giorno), le donne con alcune loro domestiche (alquante delle lor fanti) e i tre giovani con tre loro servitori (famigliari), usciti dalla città, si misero in cammino (in via); né si erano allontanati (si dilungarono) da essa (cioè dalla città) più di due miglia scarse (piccole; il miglio toscano equivaleva a circa 1650 metri), quando (che) essi giunsero al luogo da loro in precedenza scelto (primieramente ordinato). 38 Era il detto luogo… a riguardare: Il suddetto luogo si trovava sopra un piccolo monte (montagnetta), da ogni parte piuttosto distante <rispetto> alle nostre strade, <luogo e collina> piacevoli da vedersi (a riguardare) <a causa> di vari alberi (arbuscelli) e piante, tutte ricche di verdi fronde. 39 in sul colmo… oneste donne: sulla sommità della quale (riferito a «montagnetta») c’era un palazzo con nel mezzo un cortile bello e grande, con logge, con sale e con camere, tutte bellissime (bellissima, come gli aggettivi che seguono, è al singolare perché concordato con «ciascuna») ciascuna nel suo genere (ciascuna verso di sé), impreziosite (raguardevole) e ornate di piacevoli dipinti (liete dipinture), con intorno praticelli e meravigliosi giardini, e con pozzi d’acqua freschissima e con cantine (volte: il termine indica l’architettura degli scantinati, che erano appunto a volta) di vini pregiati: cose più adatte (atte) a bevitori esigenti (curiosi) che a donne sobrie e oneste. 40 Il quale… non poco piacere: Il quale <palazzo> (complemento oggetto) la brigata che arrivava (vegnente), con suo grande (non poco, litote) piacere, trovò tutto spazzato, e <con> i letti fatti nelle camere, e <con> ogni parte (cosa) piena di fiori, quali si potevano avere in <quella> stagione, e tappezzata (giuncata, francesismo) di stuoie di giunco (giunchi, metonimia). 41 E postisi… città tribolata: Ed essendosi <tutti> messi a sedere appena arrivati (nella prima giunta), Dioneo, il quale era un giovane piacevole e pieno di spirito (motti) più di (oltre a) ogni altro, disse: «Donne, la vostra saggezza (senno) più che la nostra accortezza (avvedimento) ci ha guidati qui; io non so quello che voi intendete fare delle vostre preoccupazioni (pensieri): io ho lasciato le mie dentro la porta della città quando (allora che) io insieme a voi poco fa ne sono uscito: e perciò o voi siete disposte (vi disponete) a divertirvi (sollazzare) e a ridere e a cantare insieme a me – quel tanto, voglio dire, che si conviene (s’appartiene) alla vostra dignità – o voi mi date permesso (mi licenziate) che io torni ai miei pensieri e rimanga (steami) nella città sofferente (tribolata)». Emerge da questa battuta l’allegra irruenza del carattere sensuale di Dioneo, che invita subito la brigata ad abbandonare tutte le pene e le preoccupazioni per godere allegramente della vita, purché beninteso non si oltrepassino i limiti del decoro. 42 A cui Pampinea… viver disporre: E <rivolta> a lui (A cui) Pampinea, non altrimenti (non d’altra maniera) che se allo stesso modo <di Dioneo> (similmente) avesse cacciato da sé tutti i suoi <pensieri>, rispose lieta: «Dioneo, dici molto bene: vogliamo (si vuole) vivere festosamente, né altra causa <che questo desiderio> ci ha fatte fuggire dalle sofferenze (tristizie) <della città>. Ma, poiché le cose che sono prive di misura (senza modo, latinismo) non possono durare a lungo, io, che fui colei che iniziò (cominciatrice de’) i discorsi (ragionamenti) dai quali è nata (è stata fatta) questa compagnia così bella, pensando alla continuazione della nostra gioia, ritengo (estimo) che sia necessario stabilire (di necessità sia convenire) che ci sia tra di noi un capo (alcuno principale), che noi onoriamo e <al quale> ubbidiamo come <ad un> superiore (maggiore), che abbia il compito (nel quale ogni pensiero stea) di doverci disporre a vivere in allegria (lietamente viver). 43 E acciò che… disponga: «E affinché ciascuno provi il peso della responsabilità (sollecitudine) insieme con il piacere del comando (maggioranza) e, di conseguenza, <essendo tutti> tirati (tratto, al singolare perché concorda con «ciascun») da una parte e dell’altra (cioè essendo tutti partecipi sia della responsabilità che del comando), chi non riveste <questo ruolo> (chi nol pruova) non possa sentire nessuna invidia, propongo (dico) che a ciascuno si attribuisca<no> per un giorno sia la responsabilità (il peso) sia l’onore; e tutti insieme scegliamo (nella elezion di noi tutti sia) chi debba essere il primo di noi <ad assumere l’incarico>; e <per quanto riguarda> quelli che seguiranno, quando si avvicinerà l’ora del tramonto, <si sceglierà> quello o quella che piacerà a colui o a colei che in quel giorno avrà avuto il comando (signoria); e costui (questo cotale), secondo la sua volontà (arbitrio), per il tempo (del tempo) che deve durare il suo comando (la sua signoria dee bastare), dia ordini e stabilisca (disponga) il luogo ed il modo in cui dobbiamo vivere». Mentre dunque per la prima giornata il reggitore dovrà essere eletto da tutti, nelle giornate successive sarà il reggitore in carica a nominare il proprio successore, rispettando naturalmente il principio della rotazione. 44 Queste parole… maggioranza: Queste parole piacquero moltissimo (sommamente), e all’unanimità (a una voce) scelsero lei (Pampinea) come reggitrice (prima) del primo giorno; e Filomena, corsa rapidamente verso un alloro – poiché più volte aveva sentito dire (ragionare) di quanto onore erano degne le fronde di esso, e quanto rendevano degno di onore chi ne era meritatamente incoronato – avendo colto alcuni rami di quello, fece con essi per lei (ne le fece) una ghirlanda decorosa e appariscente; la quale <ghirlanda>, messale sopra la testa, fu poi finché (mentre) durò il loro stare insieme (compagnia) segno visibile (manifesto) per ciascuno della regale signoria e del potere (maggioranza). 45 Pampinea… della sala apartiene: Pampinea, essendo stata incoronata (fatta) regina, comandò che ognuno (ogn’uom) tacesse, avendo già fatto chiamare a sé (chiamarsi) i servitori (famigliari) dei tre giovani e le domestiche (fanti) delle donne (loro), che erano quattro; e mentre ognuno stava in silenzio (tacendo ciascun), disse: «Affinché io per prima dia a tutte voi l’esempio in base al quale (per lo quale) la nostra compagnia, procedendo di bene in meglio, possa continuare a vivere (viva e duri, endiadi) con ordine, con piacere e senza alcuna vergogna fino a quando ci sarà gradito (quanto a grado ne fia), io per cominciare (primieramente) nomino (constituisco) mio maggiordomo (siniscalco) Parmeno, servitore di Dioneo, e a lui affido (commetto) la cura e la responsabilità (sollecitudine) di tutta nostra la servitù (famiglia) e <gli affido> ciò che riguarda il (appartiene al) servizio della mensa (sala)». I servi hanno nomi greci che corrispondono a quelli di alcuni personaggi della commedia latina di Plauto e Terenzio. 46 Sirisco… vi potessero: Voglio che Sirisco, servitore di Panfilo, sia nostro incaricato delle spese (spenditore) e tesoriere, ed esegua (seguiti) le disposizioni di Parmeno. Tindaro si occupi del (attenda al) servizio di Filostrato e degli altri due nelle loro camere, qualora non se ne potessero occupare (attender non vi potessero) gli altri (Parmeno e Sirisco), <perché> affaccendati (impediti) intorno ai loro compiti». 47 Misia… dove staremo: «Misia, mia domestica (fante), e Licisca, <domestica> di Filomena, staranno continuamente (continue, aggettivo con funzione avverbiale) in cucina e prepareranno accuratamente quei cibi che saranno loro comandati da (per) Parmeno. Chimera, <domestica> di Lauretta, e Stratilia, <domestica> di Fiammetta, vogliamo che siano intente a tenere in ordine le (al governo delle) camere delle donne e alla pulizia (nettezza) dei luoghi dove staremo». 48 E ciascun… di fuori: «E vogliamo e ordiniamo (plurale di maestà) che chiunque di loro (ciascun generalmente), se gli sta a cuore (per quanto egli avrà cara) la nostra grazia, ovunque (dove che) egli vada, da qualunque luogo (onde che) egli ritorni, qualunque cosa (che che) egli ascolti e veda, si astenga (si guardi) dal portarci (ci rechi, retto da «si guardi») dall’esterno (di fuori) alcuna notizia (novella), se non lieta». 49 E questi ordini… si mangi: E dati velocemente (sommariamente) questi ordini, che furono approvati (commendati) da tutti, alzatasi in piedi lieta, disse: «Qui vi sono giardini, qui vi sono praticelli, qui <vi sono> altri luoghi molto piacevoli, attraverso i (per li) quali ciascuno può andare (si vada, congiuntivo esortativo) a divertirsi (sollazzando) coma a lui piace e non appena (come) suonano le nove del mattino (terza) tutti si ritrovino qui, affinché si mangi con il fresco». Il tempo si computava dividendo la giornata in quattro parti, dall’alba al tramonto. Calcolando approssimativamente che il sole sorgeva alle sei del mattino, la terza ora corrispondeva circa alle nove, la sesta a mezzogiorno, la nona alle quindici, il vespro alle diciotto. Ma la corrispondenza tra questa scansione del tempo e la nostra varia con l’avvicendarsi delle stagioni, poiché il sole non sorge sempre alla stessa ora. 50 Licenziata… cantando: Lasciata dunque libera (Licenziata) dalla nuova regina l’allegra brigata, i giovani, con passo lento, parlando di cose piacevoli, si inoltrarono (misero) per un giardino insieme alle belle donne, facendo per sé belle ghirlande di varie fronde e cantando canzoni d’amore (amorosamente cantando). 51 data… mani: E dopo che furono rimasti (dimorati) in quello (cioè nel giardino) per il tempo che era stato concesso dalla regina (quanto di spazio dalla reina avuto aveano), tornati a casa, trovarono che Parmeno aveva dato accuratamente (studiosamente aver dato) inizio al suo lavoro, poiché, entrati in una sala al pian terreno, videro le tavole imbandite (messe) con tovaglie bianchissime e con bicchieri che sembravano d’argento (ariento), e <videro> ogni cosa coperta di fiori di ginestra; per cui, dopo aver lavato le mani con l’acqua (data l’acqua alle mani, forma ricalcata sull’ablativo assoluto latino), come volle la regina, secondo le indicazioni (giudicio) di Parmeno, andarono tutti a sedere. Nei banchetti medievali si usavano di solito bicchieri di stagno, peltro e vetro: questi bicchieri che «d’ariento parevano» sono indice di raffinatezza ed eleganza. Le mani si lavavano con l’acqua, oltre che prima del pasto, anche tra una portata e l’altra, perché non si faceva all’epoca uso di forchette. 52 Le vivande… mangiarono: Le pietanze furono delicatamente cucinate (fatte vennero) e furono preparati (presti) vini finissimi; e senz’altro indugio (senza più), in silenzio (chetamente), i tre servitori (famigliari) imbandirono le tavole. Ed essendo ciascuno rallegrato da queste cose (Dalle quali cose), poiché erano belle e ben disposte, mangiarono con discorsi (motti) piacevoli e festosamente (con festa). Si parla di «tavole» al plurale perché nel Trecento, nei pranzi con numerosi commensali, si utilizzavano più tavoli separati, di dimensioni ridotte e montati su cavalletti. 53 E levate le tavole… venissero: E sparecchiate (levate) le tavole, poiché (con ciò fosse cosa che) tutte le donne, e allo stesso modo i giovani, sapevano danzare in cerchio (carolar sapessero) e parte di loro sapeva suonare e cantare benissimo, la regina comandò che fossero portati (venissero) gli strumenti musicali. La “carola” (dal francese carole) era una danza in cui i ballerini si prendevano per mano e ballavano in cerchio. 54 e per comandamento … a cantare: e per comandamento di lei (Pampinea), <avendo> Dioneo preso un liuto e Fiammetta una viola, cominciarono dolcemente a suonare una <musica da> danza; per cui (per che) la regina con le altre donne, insieme con <gli altri> due giovani (Filostrato e Panfilo), cominciata (presa) una danza in cerchio, con passo lento, mandati i servitori a mangiare, cominciarono a danzare; e finita quella <musica da danza> cominciarono a cantare canzoni gradevoli (vaghette) e liete. 55 E in questa maniera… a riposare: E con questo modo di passare il tempo (maniera) andarono avanti fin tanto che alla regina parve il momento di andare a dormire: per cui, dato a tutti il permesso, i tre giovani se ne andarono alle loro camere, separate da quelle delle donne, <camere> che trovarono con i letti ben fatti e piene di fiori, così come la sala <da pranzo>, e allo stesso modo (simigliantemente) fecero le loro donne; per cui, spogliatesi, si andarono a riposare. 56 Non era… disse così: Non erano da molto tempo (spazio) passate le tre del pomeriggio (sonata nona) quando (che) la regina, alzatasi, fece alzare tutte le altre, e allo stesso modo <fece alzare> i giovani, affermando che dormire troppo durante il giorno era nocivo: e così se ne andarono in un prato, nel quale l’erba era verde e alta (grande), né vi poteva <entrare> da alcuna parte il sole; e lì, sentendo arrivare un soave venticello, come volle la loro regina, tutti si posero a sedere in cerchio sopra l’erba verde, e a loro (a’ quali) essa disse così. La situazione idilliaca qui descritta richiama quella del sonetto Intorn’ad una fonte, in un pratello [I1]. 57 Come voi vedete… diletto pigliare: «Come voi vedete, il sole è alto e fa molto caldo, e non si sente altro che le cicale in alto tra gli ulivi, per cui andare adesso (al presente) in qualche <altro> posto sarebbe sicuramente una sciocchezza. Qui si sta bene e al fresco (è bello e fresco stare), e ci sono (hacci), come voi vedete, sia tavole da gioco sia scacchiere, e ognuno può divertirsi (diletto pigliare) secondo ciò che più piace al suo animo». La descrizione di questi possibili modi di trascorrere il tempo prelude alla proposta alternativa di Pampinea, che costituirà poi la vera e propria cornice del Decameron. 58 Ma se in questo… trapasseremo: «Ma se in questo voleste seguire (si seguisse) il mio parere, noi trascorreremo (trapasseremo) questa calda parte del giorno non giocando, <attività> in cui è necessario (conviene) che l’animo di una delle parti (cioè di colui che perde) provi dispiacere (si turbi), senza troppo divertimento dell’altra <parte> o di chi assiste, ma raccontando delle novelle, il che, mentre uno narra (dicendo uno), può recare piacere a tutta la compagnia che ascolta». 59 Voi non avrete… più gli piace: «Ciascuno di voi non avrà finito di raccontare (compiuta di dire) una sua breve novella, che il sole sarà tramontato (fia declinato) e il caldo diminuito (mancato), e potremo andare dove più vi piaccia (più a grado vi fia) a fare cose piacevoli (prendendo diletto); e perciò, qualora (quando) ciò che io vi propongo (dico) vi piaccia, poiché in questo sono pronta (disposta) a seguire il vostro desiderio (piacer), facciamolo; e se (dove) non vi piacesse, ciascuno fino al tardo pomeriggio (l’ora del vespro) faccia ciò che più gli piace». 60 Le donne… il novellare: Le donne e, allo stesso modo (parimente) tutti gli uomini, approvarono (lodarono) <la proposta di> raccontare novelle. 61 Adunque… gli sarà a grado: «Dunque», disse la regina, «se siete d’accordo, per questa prima giornata voglio che sia data libertà (libero sia) a ciascuno <di> parlare (ragionare) di quell’argomento (materia) che più gli sarà gradito (a grado)». Pampinea non indica dunque un tema su cui dovranno vertere le novelle della prima giornata, a differenza di quanto accadrà nelle altre giornate, con la sola eccezione della nona. 62 E rivolta a Panfilo… cominciò così: E, rivolta a Panfilo, il quale sedeva alla sua destra, cortesemente gli chiese (disse) di dare inizio con una delle sue novelle a <tutte> le altre; per cui (laonde) Panfilo, udito l’ordine, subito, essendo ascoltato da tutti, cominciò così. Il narratore, concludendo questa lunga Introduzione, dà ora la parola al primo dei giovani; comnciano così le novelle della prima giornata [I11]. Sette donne, tre giovani e il trionfo della vita la vita della brigata: è un evento eccezionale è un evento eccezionale rappresenta il trionfo della morte rappresenta il trionfo della vita ha come scenario principale la città ha come scenario principale la campagna è caotica è ordinata è un evento storico è una finzione letteraria Nel rapporto tra questi due elementi, che va tenuto costantemente presente, sta la matrice del «novellare», cioè della rappresentazione del reale nella sua molteplicità. 1 La definizione, come abbiamo già osservato [I10a], si deve a Francesco De Sanctis. |
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||