G8a
Dante Alighieri
La nuova ispirazione
Vita nuova cap. XIX

[Vita nuova, cap. XIX] 1. Avvenne poi che passando per uno cammino lungo lo quale sen gia uno rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontade di dire, che io cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse1; e pensai che parlare di lei non si convenia che io facesse, se io non parlasse a donne in seconda persona2, e non ad ogni donna, ma solamente a coloro che sono gentili e che non sono pure femmine3. 2. Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per se stessa mossa4, e disse: Donne ch’avete intelletto d’amore. 3. Queste parole io ripuosi ne la mente5 con grande letizia, pensando di prenderle per mio cominciamento6; onde poi, ritornato a la sopradetta cittade7, pensando alquanti die8, cominciai una canzone con questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua divisione9. 4. La canzone comincia: Donne ch’avete.




1 Avvenne… tenesse: Accadde poi che, passando per una strada (uno cammino) lungo la quale scorreva (sen gia, lett. se ne andava) un ruscello (uno rivo) molto limpido, mi venne un tale desiderio di esprimermi (volontade di dire), che cominciai a pensare in che modo dovessi farlo (lo modo che io tenesse). Il poeta, fino a questo momento sospeso tra «disiderio di dire» e «paura di cominciare» [G7] decide ora coscientemente di esprimersi secondo la nuova poetica.

2 e pensai… seconda persona: e pensai che non era opportuno (non si convenia) che parlassi di lei (parlare di lei… che io facesse) se non rivolgendosi in seconda persona alle donne. La riflessione del poeta-amante si incentra innanzitutto sul pubblico della nuova poesia.

3 che sono gentili… pure femmine: solo a donne dotate di gentilezza d’animo, e che non sono semplici (pure, aggettivo) femmine. Solo l’élite delle “donne gentili” è dunque, in obbedienza alle teorizzazione di Guinizzelli, il pubblico adatto alla nuova poesia di Dante.

4 quasi come per se stessa mossa: per così dire (quasi) come se si muovesse spontaneamente, cioè fuori dal controllo razionale del poeta. È la vera e propria ispirazione che segna il passaggio alla poesia della lode di Beatrice, preannunciata nel capitolo precedente [G7]. Essa travalica la riflessione cosciente: è una sorta di raptus, di invasamento in cui la lingua del poeta parla mossa da una forza superiore.

5 ripuosi ne la mente: conservai nella memoria (mente).

6 cominciamento: inizio.

7 la sopraddetta cittade: Firenze.

8 pensando alquanti die: al raptus fulmineo dell’ispirazione succede un periodo di riflessione consapevole e attenta.

9 ne la sua divisione: alla fine della canzone, Dante inserisce una analisi particolarmente lunga e dettagliata (che non abbiamo riportato).



Nella brevissima prosa che apre il capitolo XIX è concentrata l’essenza della svolta poetica della Vita nuova. Si scioglie la suspence creata nel precedente capitolo [G7] e si individuano due elementi fondamentali della nuova poesia della lode: la scelta del pubblico e la natura dell’ispirazione.

La scelta del pubblico
L’individuazione del pubblico cui la poesia dantesca si rivolge non rappresenta una novità rispetto alla tradizione stilnovistica; è la prima volta, però, che Dante mette questo elemento in primo piano. Egli si rifà evidentemente al modello di Guinizzelli [E1], ma precisa che il proprio pubblico «gentile» andrà principalmente individuato tra le donne. Significativa è in tal senso l’opposizione terminologica tra le «donne… che sono gentili» e le «pure femmine».

La natura dell’ispirazione
Questa prosa, come anche la canzone che essa introduce [G8b], presenta numerose occorrenze dei verba dicendi: «dire», «parlare», «parlasse» [1]; «parlò», «disse» [2]. Tali verbi non hanno significato generico, ma indicano specificamente lo scrivere poesia.
In un primo momento il poeta-amante si pone razionalmente il problema di quali debbano essere i destinatari della sua parola poetica [1]; i verba dicendi compaiono qui all’infinito o al congiuntivo. Il soggetto, implicito o esplicito a seconda dei modi verbali, è sempre “io”, cioè Dante.
All’improvviso sopravviene l’ispirazione [2], che si sottrae del tutto al controllo razionale del poeta-amante («Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per se stessa mossa, e disse: Donne ch’avete intelletto d’amore»). I verba dicendi compaiono qui all’indicativo ed hanno come soggetto non più Dante, ma la sua lingua. Nel momento della vera e propria ispirazione, insomma, il poeta è come invasato: la lingua non è mossa dalla sua volontà, e neanche si muove da sola (la natura comparativa-ipotetica dell’espressione è sottolineata dalla compresenza dell’avverbio «quasi» e della congiunzione «come»). Il momento dell’illuminazione presuppone dunque un raptus in cui il poeta è posseduto da una forza superiore.
All’ispirazione segue poi una lunga riflessione («pensando alquanti die»), al termine della quale si ha la stesura della canzone: la poesia non è infatti concepita come una creazione spontanea; essa comporta invece un lungo e faticoso lavoro sulla forma.
All’origine c’è, però, il raptus dell’ispirazione. Il problema fondamentale è, evidentemente, chiarire quale sia la forza che muove la lingua del poeta. Il testo non lo dice esplicitamente, ma il gioco dei richiami e delle citazioni bibliche (molte delle quali individuate da Domenico De Robertis) consente, ancora una volta, di attribuire connotazione religiosa ad almeno tre elementi di questa prosa:
a) l’idea degli organi della fonazione che si muovono fuori dal controllo del soggetto è già nel Salmo L, v. 16: «Domine, labia mea aperies; et os meum annuntiabit laudem tuam» [«Signore, apri le mie labbra e la mia bocca annuncerà la tua lode»]. Questo riferimento appare pertinente anche per la presenza, nel testo biblico, del tema della «lode», che assume una evidentissima connotazione religiosa;
b) quando Dante afferma di aver riposto nella memoria le parole dette dalla sua lingua «con grande letizia» [3], designa il proprio stato d’animo con un altro termine presente nello stesso salmo, e per di più in esso collegato al tema della salus (cioè della salvezza dell’anima): «Redde mihi laetitiam salutaris tui» [«Rendimi la letizia della tua salvezza», Salmo L, v. 13];
c) la stessa idea delle parole riposte nella mente sembra richiamare, come ha osservato Guglielmo Gorni, il passo evengelico relativo all’incontro di Maria con i pastori subito dopo la nascita di Gesù: «Maria autem conservabat omnia verba haec conferens in corde suo» [«Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore»; Luca, II, 19].
Sembra chiaro insomma il fatto che Dante faccia risalire a un’ispirazione di natura divina la nascita della poesia in lode di Beatrice. L’analisi della canzone [G8b] potrà confermare la fondatezza di quest’interpretazione.




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