G6b
Dante Alighieri
Con l’altre donne mia vista gabbate
Vita nuova cap. XIV

Con l’altre donne mia vista gabbate,
e non pensate, donna, onde si mova
ch’io vi rassembri sì figura nova
quando riguardo la vostra beltate1.

Se lo saveste, non poria Pietate
tener più contra me l’usata prova,
ché Amor, quando sì presso a voi mi trova,
prende baldanza e tanta securtate,

che fere tra’ miei spiriti paurosi,
e quale ancide, e qual pinge di fore,
sì che solo remane a veder vui2:

ond’io mi cangio in figura d’altrui,
ma non sì ch’io non senta bene allore
li guai de li scacciati tormentosi3.

Questo sonetto non divido in parti, però che la divisione non si fa se non per aprire la sentenzia de la cosa divisa4; onde con ciò sia cosa che per la sua ragionata cagione assai sia manifesto, non ha mestiere di divisione5. Vero è che tra le parole dove si manifesta la cagione di questo sonetto, si scrivono dubbiose parole6, cioè quando dico che Amore uccide tutti li miei spiriti, e li visivi rimangono in vita, salvo che fuori de li strumenti loro. E questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simile grado fedele d’Amore7; e a coloro che vi sono è manifesto ciò che solverebbe le dubitose parole8: e però non è bene a me di dichiarare cotale dubitazione, acciò che lo mio parlare dichiarando sarebbe indarno, o vero di soperchio9.




1 Con l’altre… beltate: Insieme alle altre donne vi prendete gioco (gabbate) del mio aspetto (mia vista), e non pensate, o donna, da dove derivi (onde si mova) <il fatto> che io vi appaia (rassembri) con un aspetto così mutato (sì figura nova) quando contemplo (riguardo) la vostra bellezza. Si tratta di quel mutamento esteriore che nella prosa [G6a, 10] veniva definito «trasfigurazione».

2 Se lo saveste… veder vui: Se lo sapeste, la Pietà non potrebbe fare contro di me la consueta resistenza (l’usata prova) perché l’Amore, quando mi trova così vicino a voi, prende tanta spavalderia (baldanza) e tanta sicurezza (securtate) che irrompe (fere) tra i miei spiriti impauriti, e uccide l’uno (quale ancide, provenzalismo o sicilianismo), spinge fuori l’altro (qual pinge di fore), sì che <l’Amore> rimane da solo a vedere voi (vui, sicilianismo). Il poeta si dice certo che, se la donna conoscesse il vero motivo della sua «trasfigurazione», dovrebbe provare pietà per lui (nella quartina si dice che la Pietà, personificata, non potrebbe più opporre resistenza al poeta). Il dramma degli spiriti è analogo a quello già rappresentato nella prosa [G6a, 8]: Amore uccide tutti gli spiriti che governano i sensi, tranne quelli della vista, che vengono però spinti fuori dagli occhi affinché Amore possa contemplare la donna.

3 ond’io… tormentosi: per cui (ond’) io modifico il mio aspetto fino a sembrare un’altra persona (mi cangio in figura d’altrui), ma non <divento un’altra persona> tanto () che io allora non senta i lamenti (guai) degli <spiriti> scacciati e tormentati. Anche questa terzina ha uno strettissimo rapporto con la prosa (scritta, lo ricordiamo, in epoca successiva): gli «scacciati tormentosi» sono infatti gli spiriti della vista, che il poeta-amante sente lamentarsi di essere stati privati della visione di Beatrice [G6a, 9].

4 però che… divisa: perché la divisione si fa solo per chiarire il significato (aprire la sentenzia) del testo che si “divide” (de la cosa divisa).

5 onde… divisione: per cui, poiché (con ciò sia cosa che) <tale significato> è assai chiaro grazie alla prosa che ha spiegato il motivo della sua composizione (per la sua ragionata cagione) non è necessaria (non ha mestiere di) la divisione.

6 Vero è… dubbiose parole: È vero che, tra le parole con cui (dove) si chiarisce il motivo della composizione di questo sonetto, ve ne sono anche alcune di senso incerto (dubbiose).

7 E questo dubbio… d’Amore: Ed è impossibile sciogliere (solvere) questo dubbio per chi non sia, allo stesso modo (in simile grado) <di me>, fedele d’Amore. Ci sono cioè concetti che possono essere compresi solo da coloro che appartengano alla eletta cerchia dei poeti in grado di intendere l’Amore.

8 e a coloro… dubitose parole: d’altra parte (e), a coloro che sono fedeli d’Amore <al pari di me> (a coloro che vi sono) è già chiaro ciò che spiegherebbe (è manifesto ciò che solverebbe) queste parole di senso incerto.

9 e però… di soperchio: e perciò (però) non è bene da parte mia esporre chiaramente (dichiarare) questi punti dubbi (cotale dubitazione), per il fatto che (acciò che) le mie parole di chiarimento (lo mio parlare dichiarando) sarebbero inutili (indarno), oppure superflue (di soperchio). Un chiarimento dei segreti di Amore sarebbe inutile per chi, essendo incapace di provare un sentimento così nobile, non potrebbe in ogni caso capirli; sarebbe invece superfluo per chi conosca già Amore per esperienza diretta.



Livello metrico
Sonetto con rime incrociate nelle quartine e invertite nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, EDC. Mentre le quartine presentano una serrata omofonia delle rime, nella prima terzina si succedono tre versi privi di riprese foniche; la simmetria viene ripristinata nella seconda terzina, in forma speculare: tra le rime in C sono interposti ben quattro versi.

Livello lessicale, sintattico e stilistico
Il sonetto mostra anche sul piano lessicale e morfologico il suo debito con la tradizione cortese, come testimonia la presenza di forme siciliane («vui» del v. 11) e siciliane-provenzali («ancide» del v. 10). Sul piano sintattico, la prima e l’ultima strofa sono interamente occupate da un periodo ciascuna, mentre maggiore movimento ha il discorso poetico nelle due strofe centrali, tra le quali si distribuisce un lungo periodo; la seconda quartina si conclude con un enjambement sul sintagma «tanta securtate», che annuncia la presenza nel verso successivo di una proposizione consecutiva con la quale si introducono il dramma degli spiritelli e i relativi effetti sul corpo del poeta.

Livello tematico
Il tema del sonetto e quello della prosa (la cui stesura è evidentemente successiva) appaiono in gran parte sovrapponibili. La maggiore consapevolezza del narratore trapela infatti, come si è visto [G6a], solo da alcuni richiami impliciti contenuti nella prosa. Il sonetto tuttavia si deve al poeta-amante e non al narratore consapevole. Ne consegue che in esso non sarà presente quella sottile polisemia che è stata rilevata nella prosa.
Il testo poetico, di chiara ispirazione cavalcantiana, è rivolto direttamente a Beatrice; la prosa illustra esaurientemente le ragioni della sua composizione, come lo stesso Dante fa presente nella “divisione” (che, in quest’occasione, è strutturata in modo differente dal consueto).
Il confronto tra prosa e poesia consente comunque di notare come la prima riesca a valorizzare e sviluppare alcuni temi che nel sonetto rimangono appena accennati. Si confrontino, ad esempio, le due terzine con la corrispondente sequenza narrativa [G6a, 8-9], in cui Dante dichiara la sua straniata consapevolezza del proprio tormento interiore e traduce in discorso diretto, quasi in battute di teatro, quelli che nella poesia sono qualificati come «li guai de li scacciati tormentosi».






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