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[Vita nuova, cap. II] 1. Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione1, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente2, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare3. 2. Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado4, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono5. 3. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto6, sanguigno7, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia8. 4. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente9; e tremando disse queste parole: «Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi»10. 5. In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni11, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso12, sì disse queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra»13. 6. In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro14, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: «Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!»15. 7. D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima16, la quale fu sì tosto a lui disponsata17, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente18. 8. Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima19; onde io ne la mia puerizia20 molte volte l’andai cercando, e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti21, che certo di lei si potea dire quella parola22 del poeta Omero: «Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo»23. 9. E avvegna che la sua imagine, la quale continuatamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me24, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire25. 10. E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse26; e trapassando molte cose le quali si potrebbero trarre de l’essemplo onde nascono queste27, verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi28. 1 Nove fiate… girazione: Per nove volte (fiate) dopo la mia nascita (appresso lo mio nascimento) il cielo del Sole (lo cielo de la luce) era quasi arrivato (tornato) al medesimo punto, riguardo alla propria orbita (quanto a la sua propria girazione): erano cioè passati quasi nove anni dalla nascita di Dante, avvenuta nel 1265. Occorre ricordare che, nella cosmologia medievale, la Terra è al centro del creato e, intorno ad essa, girano nove sfere celesti; le prime sette contengono un pianeta ciascuna (il cielo più vicino alla Terra è quello della Luna; seguono Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno); l’ottavo cielo contiene le stelle fisse; il cielo più esterno è il Primo Mobile o Cristallino, che non contiene astri e che imprime il movimento a tutti gli altri cieli. Il cielo del Sole è dunque la quarta delle sfere che ruotano intorno alla Terra. Il Sole compie ogni giorno un giro intorno alla Terra. Se prendiamo come riferimento il cielo delle stelle fisse, però, possiamo constatare che ogni giorno, nell'arco di un anno, il Sole sorge da un punto diverso del cielo (come noi stessi diciamo, infatti, il Sole “entra” nelle costellazioni dello Zodiaco e dopo un mese “esce” da una costellazione per entrare in un'altra). Deve trascorrere un anno perché il Sole ritorni nel medesimo punto rispetto al cielo delle stelle fisse. 2 quando…mente: quando per la prima volta (prima) apparve ai miei occhi la signora (donna, dal latino domina) della mia anima (mente) che ora è nella gloria del cielo (gloriosa). Si descrive il processo dell’innamoramento che, come vuole la tradizione stilnovistica, passa attraverso gli occhi per conquistare l’anima dell’uomo. Dante sembra qui rifarsi alla terminologia di Cavalcanti, che intendeva la «mente» come una parte dell’anima sensitiva, il luogo della memoria e della fantasia in cui si insedia l’immagine (phantasma) della donna [E6]. Ma la concezione dell’amore di Dante risulterà alla fine assai lontana da quella averroistica del secondo Guido: con la Vita nuova si arriverà infatti alla risoluzione di quel conflitto tra amore e religione che aveva segnato fino ad allora la poesia stilnovistica. 3 la quale… che si chiamare: la quale fu chiamata Beatrice da molti che non sapevano come si chiamasse (che si chiamare). Il nome di Beatrice, cioè «apportatrice di beatitudine», veniva dunque intuito anche da coloro che non lo conoscevano. Questa interpretazione del passo (ma ne sono state proposte anche altre) si rifà alla convinzione medievale secondo cui i nomi rifletterebbero la natura essenziale delle cose (nomina sunt consequentia rerum); tra nomi e cose, significanti e significati esisterebbe insomma un rapporto necessario e niente affatto arbitrario. 4 Ella… grado: Beatrice (Ella) aveva già vissuto tanto tempo, che durante la sua esistenza (ne lo suo tempo) il cielo delle stelle fisse (lo cielo stellato) si era mosso verso est (verso la parte d’oriente) di un dodicesimo di grado (de le dodici parti l’una d’un grado). Questa complessa perifrasi astronomica vuol dire che Beatrice, nel momento in cui Dante la vide per la prima volta, aveva 8 anni e 4 mesi. Il cielo delle stelle fisse, l’ottavo dei cieli che girano intorno alla Terra, oltre a compiere ogni giorno un giro completo, si sposta infatti verso est (secondo i calcoli con cui Tolomeo descriveva il fenomeno noto agli astronomi come “precessione degli equinozi”) di un grado ogni secolo. Dalla nascita di Beatrice al momento in cui Dante la vede questo cielo si è mosso di un dodicesimo di grado: è passato pertanto un dodicesimo di secolo, ossia appunto 8 anni e 4 mesi. 5 sì che… nono: sicché Beatrice mi apparve quand’era da poco entrata nel suo nono anno di età (quasi dal principio del suo anno nono) e io la vidi quasi alla fine dei mio nono anno di età. Il numero 9 (che è il quadrato di 3, numero della Trinità) assume nella Vita nuova un profondo significato simbolico: esso, come lo stesso Dante spiega nel cap. XXIX, rappresenta il miracolo [G14]. 6 Apparve… onesto: <Beatrice> apparve vestita di un colore nobilissimo, segno di modestia (umile) e di dignità (onesto; quest’aggettivo ha in Dante significato diverso da quello attuale: esso indica il decoro esteriore, la dignità del portamento [G13b]). Il verbo «apparve», che apre il periodo, allude alla manifestazione di una figura soprannaturale, connotando l’incontro con Beatrice di significati mistici (cfr. nota 13). 7 sanguigno: rosso scuro; questo colore, definito «nobilissimo» perché vestito dalle più alte autorità, sembra simboleggiare l’ardore spirituale. 8 cinta… convenia: con una cintura e con degli ornamenti adeguati alla sua giovanissima età. 9 In quello punto… orribilmente: Dico in modo veritiero (veracemente) che in quel momento (in quello punto: questa indicazione temporale ritorna all’inizio dei due periodi successivi) lo spirito vitale, il quale si trova (dimora) nella cavità (camera) più profonda (secretissima) del cuore, cominciò a tremare così forte, che si avvertiva (apparia) in modo da far paura (orribilmente) anche nelle minime pulsazioni (polsi). La scienza medievale credeva che all’interno del corpo umano vi fossero degli spiriti che si muovevano continuamente (dal cuore alla periferia e viceversa, secondo un percorso che ricorda la circolazione sanguigna). Si pensava che lo «spirito de la vita», che aveva origine nel cuore, raggiungesse ogni parte del corpo attraverso le arterie. Perciò le pulsazioni nel corpo dell’amante sono spiegate come conseguenze del tremore di questo spirito. 10 Ecce… michi: Ecco un dio più forte di me, che venendo mi dominerà. Lo «spirito de la vita», qui personificato, riconosce che, da questo momento, l’anima di Dante sarà governata da una “divinità”, che è ovviamente Amore. Facendo pronunciare queste parole allo «spirito de la vita», Dante segue da vicino il modello di Cavalcanti, che aveva teatralizzato la vicenda psicologica dell’innamoramento mettendo in scena una sorta di dramma i cui personaggi erano, appunto, gli spiriti [E6]. La frase latina riecheggia modelli biblici, dalle parole del profeta Isaia («Ecce Dominus Deus in fortitudine veniet, et brachium eius dominabitur» [«Ecco il Signore Dio viene con potenza, e il suo braccio dominerà»], Isaia, XL, 10), a quelle che l’evangelista Luca fa pronunciare a Giovanni Battista («veniet autem fortior me» [«ma verrà uno più forte di me»], Luca, III, 16). 11 lo spirito animale… percezioni: l’anima sensitiva (spirito animale), che si trova (dimora) nella cavità del cervello (alta camera) a cui tutti gli spiriti portano le loro percezioni. L’anima sensitiva presiede alla percezione coordinando i dati forniti dagli spiriti preposti ai vari sensi. Anche questo spirito è qui personificato. 12 a li spiriti del viso: agli spiriti della vista (viso è un latinismo). Ad ogni sfera sensoriale presiedono appositi spiriti, che convergono poi verso lo «spirito animale». Gli spiriti preposti alla visione sono, ovviamente, quelli più immediatamente interessati dall’apparizione della donna amata. 13 Apparuit… vestra: È apparsa ormai la vostra beatitudine: anche in questo caso la frase latina rimanda a un modello scritturale, la lettera di San Paolo a Tito, II, 11: «Apparuit enim gratia Dei salvatoris nostri» [«È apparsa dunque la grazia di Dio nostro salvatore»]. 14 lo spirito naturale… nutrimento nostro: lo spirito naturale, che ha sede in quella parte del corpo in cui si provvede al nostro nutrimento, ossia nel fegato e nello stomaco: si tratta dello spirito che presiede all’alimentazione del corpo. 15 Heu… deinceps: Povero me, poiché (quia) d’ora in poi (deinceps) sarò spesso impedito! Anche la perdita dell’appetito, effetto frequente del turbamento amoroso, viene qui spiegata ricorrendo alla dottrina degli spiriti. 16 D’allora… anima: Dico che da quel momento in poi (d’allora innanzi) Amore si impadronì (signoreggiò) della mia anima. Il complemento di tempo «d’allora innanzi», preposto rispetto al verbo «dico» da cui dipende (in perfetto parallelismo con quanto accadeva all’inizio del paragrafo 4) introduce la descrizione degli effetti di rinnovamento e di elevazione prodotti dall’amore di Beatrice nella vita di Dante. Mentre i tre periodi precedenti avevano descritto analiticamente ciò che era avvenuto in un solo istante nell’animo dell’amante a seguito dell’apparizione di Beatrice, qui si descrivono sinteticamente sentimenti e azioni abituali che da quel momento, e per molti anni, avrebbero caratterizzato la vita dell’amante. 17 la quale… diponsata: la quale fu così presto sposata (disponsata) a lui (cioè ad Amore). 18 e cominciò… compiutamente: e cominciò a prendere tanta baldanza (sicurtade) e tanto potere (signoria) su di me, per la forza (vertù) che a lui (cioè ad Amore) conferiva la mia immaginazione, che mi era necessario (convenia) fare fino in fondo (compiutamente) tutto ciò che egli volesse. Secondo la dottrina d’Amore, che risale ad Andrea Cappellano, il prevalere di questo sentimento è favorito dall’immaginazione dell’amante, che si raffigura ossessivamente l’immagine della donna. 19 elli… giovanissima: Amore mi comandava spesso che mi dessi da fare (cercasse) per vedere questa giovanissima creatura angelica. Il termine «angiola», diversamente da quanto accade in Guinizzelli [E1], non ha valenza puramente metaforica, ma fa realmente della figura di Beatrice una mediatrice tra il cielo e la terra [G13b]. 21 e vedeala… portamenti: e vedevo che aveva modi (portamenti) così nobili e degni di lode. 22 quella parola: quella frase. 23 Ella non parea… deo: è una citazione indiretta (Dante non conosceva il testo dei poemi omerici), che sembra richiamare due versi dell’Iliade riferiti a Ettore, di cui Omero dice che «non pareva / figlio d’un uomo mortale, ma figlio d’un dio» (XXIV, 258/259). 24 E avvegna… me: E sebbene (avvegna che) la sua immagine, che stava continuamente dentro di me (cfr. n. 18) conferisse ad Amore la forza (fosse baldanza d’Amore: l’immagine della donna e la potenza dell’amore sono quasi identificate) di dominarmi. 25 tuttavia… a udire: tuttavia <l’immagine di Beatrice> era di così nobile virtù, che mai tollerò (nulla volta sofferse) che Amore mi governasse (reggesse) senza il fedele consiglio della ragione, in quelle cose in cui fosse utile ascoltare un tale consiglio. È evidente in questo passo il distacco di Dante dalla concezione cavalcantiana, che vede l’amore come una potenza oscura che offusca la ragione e allontana l’uomo dalla conoscenza e dalla virtù. Qui l’amore, lungi dall’apparire come un colpevole cedimento ai sensi, si configura anzi come un sentimento che nobilita l’amante: sono ormai presenti i presupposti per il superamento del tradizionale conflitto tra amore e religione. 26 E però… da esse: E poiché (però che) soffermarsi (soprastare) sulle passioni e le azioni di una così giovane età (tanta gioventitudine) sembra un raccontare favole (pare alcuno parlare fabuloso), mi allontanerò (partirò) da esse (cioè da queste «passioni»). 27 e trapassando… queste: e tralasciando (trapassando) molte cose che si potrebbero trarre dallo stesso originale (essemplo, cioè il «libro de la mia memoria» di cui il «libello» costituisce una parziale trascrizione) da cui nascono quelle appena riferite. Il narratore dichiara ancora una volta di voler operare una selezione sui dati contenuti nel libro della memoria, saltando i capitoli relativi all’infanzia. 28 sotto maggiori paragrafi: in paragrafi più importanti. Continua la metafora iniziata nel primo capitolo [G1]. È utile tener presente, nello studio della Vita nuova, la duplice prospettiva in base alla quale l’opera è costruita. Da un lato, infatti, esiste un Dante-personaggio, il giovane poeta innamorato di Beatrice. Dall’altra esiste un Dante-narratore il quale, alcuni anni dopo la morte di Beatrice, sfoglia il libro della sua memoria e, ormai consapevole di tutte le implicazioni morali e religiose della vicenda, ne fornisce un’interpretazione complessiva universalmente valida. Tenendo presente questa duplicità di prospettiva, possiamo dividere il capitolo in quattro sequenze (escludendo l’ultimo periodo [10], che si limita ad anticipare la materia dei capitoli successivi). Collocazione temporale della vicenda [1, 2] Le due ampie perifrasi astronomiche, che collocano in un preciso momento storico (l’anno 1274) la prima apparizione di Beatrice, appartengono ovviamente alla prospettiva del narratore consapevole. Egli sa che l’incontro con Beatrice è stata una manifestazione del divino e per questo insiste sul ricorrere del numero nove (numero che nella simbologia dantesca rappresenta il miracolo, in quanto quadrato di tre, ossia prodotto del numero della Trinità moltiplicato per se stesso [G14]). Notevole è il fatto che a questa articolata collocazione temporale non corrisponda alcuna precisazione circa lo spazio in cui la vicenda si colloca: il narratore evita infatti ogni riferimento concreto che possa far apparire il suo «libello» come la semplice trascrizione di un’esperienza biografica che riguardi esclusivamente un singolo uomo e sia avvenuta in un luogo ben preciso; egli insiste, al contrario, sugli elementi che consentono un’interpretazione universale (e soprannaturale) della vicenda. Indice della consapevolezza del narratore è anche la constatazione che questa donna «fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare» [1]: nella prospettiva medievale, secondo la quale nomina sunt consequentia rerum, il fatto che quanti ignoravano il nome della donna le attribuissero spontaneamente quello di «apportatrice di beatitudine» vale come conferma, intuitiva e perciò ancor più pregnante, della natura sovrumana di questa figura femminile. Apparizione di Beatrice [3] Il periodo che contiene la raffigurazione della donna è non a caso introdotto da un verbo religiosamente connotato come «apparve». La descrizione contiene alcuni particolari concreti, che si riferiscono però solo all’abbigliamento della donna, il quale è conforme all’età di lei ed è definito con aggettivi che lo fanno apparire come indice di virtù morali («umile») e di decoro esteriore («onesto»). L’assenza di qualsiasi descrizione fisica immerge questa figura vestita di rosso in un’atmosfera rarefatta, che contribuisce ulteriormente ad innalzarla al di sopra del mondo terreno. Effetti immediati dell’apparizione: sconvolgimento dell’amante [4, 5, 6] I tre periodi seguenti sono collegati dall’anafora «in quello punto» e da una fitta serie di parallelismi: «lo spirito della vita […] cominciò a tremare […] e tremando disse queste parole» [4]; «lo spirito animale […] si cominciò a maravigliare molto […] sì disse queste parole» [5]; «lo spirito naturale […] cominciò a piangere […] e piangendo disse queste parole» [6]. Tali periodi descrivono analiticamente una serie di eventi simultanei o, per meglio dire, istantanei: tutto ciò che, immediatamente dopo l’apparizione, avviene nell’anima dell’amante. L’analisi dei moti psicologici risente fortemente della dottrina degli spiriti su cui è costruita tanta poesia di Cavalcanti (ma si rifà anche al trattato De spiritu et respiratione di Alberto Magno). In questa sequenza, in cui il tempo del discorso appare rallentato rispetto al tempo della storia (tre periodi in successione per descrivere ciò che è avvenuto «in quello punto»), la distanza tra narratore e personaggio si riduce al minimo; ciò può spiegare la prevalenza di immagini di tremore e angoscia, tipiche della concezione cavalcantiana dell’amore. Il significato religioso della vicenda non è esplicitato, anche se ad esso rimandano le frasi pronunciate dagli spiriti, per almeno due delle quali sono individuabili precisi richiami scritturali. Effetti a lungo termine dell’amore per Beatrice: perfezionamento dell’amante [7, 8, 9] La prospettiva del narratore e quella del protagonista si distanziano nuovamente nei tre successivi paragrafi, in cui si inverte anche il rapporto tra tempo della storia e tempo del discorso. Il tempo della storia infatti si dilata (si tratta di molti anni, in pratica tutti quelli della «puerizia»), mentre il tempo del discorso è praticamente uguale a quello della sequenza precedente (tre periodi). Il narratore consapevole non si limita a insistere sulle connotazioni religiose della figura di Beatrice, ma mira a prendere ideologicamente le distanze dal cavalcantismo, confutando esplicitamente [9] l’idea di un’inconciliabilità tra amore e ragione e gettando le basi per il superamento del tradizionale conflitto tra amore e religione. Può essere utile, per misurare le distanze tra Dante e la precedente tradizione stilnovistica, riflettere sul valore che assume l’immagine della donna-angelo in questo testo e istituire un confronto con la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli. Nel testo dantesco la donna non si limita ad avere «d’angel sembianza»; non compare cioè semplicemente come primo termine di una similitudine galante (che, come abbiamo a suo tempo mostrato, non risolveva affatto il conflitto, ma si limitava ad aggirarlo [E1]). In Dante la donna è definita, senza mediazioni retoriche, «angiola giovanissima»: e che non si tratti di semplice metafora apparirà ancora più chiaro via via che si procederà nello studio della Vita nuova [G13b]. |
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