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Volvol te levi, vecchia rabbïosa, e sturbignon te fera in su la testa: perché dimor’ ha’ in te tanto nascosa, che non te vèn ancider la tempesta1? Arco da cielo te mandi angosciosa saetta che te fenda, e sïa presta: che se fenisse tua vita noiosa, avrei, senz’ altr’ aver, gran gio’ e festa2. Ché non fanno lamento li avoltori, nibbi e corbi a l’alto Dio sovrano, che lor te renda? Già se’ lor ragione3. Ma tant’ ha’ tu sugose carni e dure, che non se curano averti tra mano: però romane, e quest’ è la cagione4. 1 Volvol te levi… tempesta: Il vortice (Volvol; ma il termine, come notano Segre e Ossola, potrebbe significare anche malanno) ti trascini con sé (te levi), vecchia rabbiosa, e il turbine (sturbignon, che potrebbe significare anche svenimento) ti colpisca sulla testa: perché ti nascondi tanto (dimor’ ha’ in te tanto nascosa; il sintagma «in te», non facile da rendere in prosa, accentua l’idea che la vecchia si rintani, si rinchiuda in se stessa) che la tempesta non ti arriva (vèn) a uccidere (ancider)? 2 Arco da cielo… festa: Un arco <teso> dal cielo (metafora per indicare una maledizione divina) mandi a te, <rendendoti> angosciosa, una freccia (saetta) che ti ferisca (fenda), e sia rapida (presta): <in modo> che, se finisse la tua vita molesta (noiosa), io avrei, anche se non possedessi nient’altro (senz’ altr’ aver), un sentimento gioioso e festoso (gran gioi’ e festa). 3 Ché non fanno… lor ragione: Perché (Ché, con funzione interrogativa) gli avvoltoi (avoltori), i nibbi e i corvi non reclamano (non fanno lamento) presso l’alto Dio re del cielo (sovrano), in modo che ti restituisca (renda) a loro? Sei già di loro spettanza (lor ragione; in altre parole sei già come morta). 4 Ma tant’à…la cagione: Ma tu hai (à) carni tanto purulente (sugose, forse con riferimento alle secrezioni di piaghe e infezioni; altri intendono il termine in senso antifrastico, come secche; altri ancora pensano che si debba leggere «rugose») e dure, che <i rapaci> non desiderano (non se curano) toccarti (averti tra mano): perciò resti (romane) <in vita>, e questa è la ragione. Livello metrico Sonetto con rime alternate nelle quartine e ripetute nelle terzine. Lo schema è ABAB, ABAB; CDE, CDE. I vv. 9 e 12 presentano una rima siciliana («avoltori» : «dure») in cui, oltre all’alternanza tra -o e -u, si rileva anche la differenza tra le vocali postoniche. Livello lessicale, sintattico e stilistico Il sonetto utilizza un lessico ricercato, in particolare vocaboli relativi alla meteorologia che possono assumere anche un significato medico. Sia «volvol» (v. 1) che «sturbignon» (v. 2) colpiscono per la loro espressività fonica, affidata in un caso alla duplicazione della radice vol (da ricollegare al latino volvo) e, nell’altro, alla successione di suoni consonantici aspri e bizzarri (la voce potrebbe derivare dal latino volgare turbiculu, da cui anche il francese tourbillon). Pur rappresentando una donna ripugnante, il sonetto ne tace quasi completamente i tratti fisici (solo nell’ultima terzina compare la divertita metafora delle carni «sugose»). Non poteva mancare, in un’esercitazione comica del padre dello Stilnovo, l’utilizzo di stilemi della lirica cortese (come la dittologia «gio’ e festa» del v. 8), peraltro degradati a un significato lontanissimo da quello tradizionale (si avrebbe «gio’ e festa» solo se la vecchia morisse). Nel testo si alternano enunciati interrogativi (prima quartina, prima terzina) con altri assertivi (seconda quartina, seconda terzina). Ritmo e sintassi tendono a coincidere: a ogni strofa corrisponde un periodo e di solito ogni singolo verso coincide con una proposizione (con l’eccezione due deboli enjambements tra i vv. 5 e 6 e tra i vv. 9 e 10). Livello tematico Il sonetto svolge il tema dell’improperium in vetulam (invettiva contro una vecchia), che ha i suoi precedenti nella poesia classica (in particolare nelle Satire di Orazio) e in quella goliardica medievale, ed è attestato spesso all’interno della tradizione in volgare, per esempio nell’opera di Rustico Filippi [F2]. Nella fattispecie, il testo si apre su un iperbolico augurio di sciagura che diventa poi, esplicitamente, augurio di morte; ma si chiude, procedendo di iperbole in iperbole, sulla rassegnata constatazione che la ripugnante vecchia resterà in vita perché perfino corvi ed avvoltoi proverebbero ribrezzo a toccarne le carni. Come a livello lessicale, così anche a livello tematico il procedimento più significativo è la ripresa, in forma degradata, di temi tradizionali della poesia amorosa. Si pensi all’invocazione a Dio, che in ben altro contesto Guinizzelli chiamava in causa nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore [E1]: il poeta, in questo sonetto, si domanda invece perché mai gli uccelli rapaci non si rivolgano al Creatore per reclamare le carni della vecchia. Si veda anche la consueta metafora dell’arco e della saetta, qui piegata a significare l’augurio di un malanno che venga dal cielo. È evidente, di questo testo di Guinizzelli, la natura di esercitazione letteraria, di tirocinio stilistico. Il fatto che anche il padre dello Stilnovo (come anche Cavalcanti [F12] e Dante [G18]) abbia voluto provarsi con il registro comico, alternandolo a quello più nobile della lirica amorosa, conferma la natura prevalentemente letteraria del fenomeno, contro l’ipotesi “romantica” che voleva spiegarlo con il vissuto di risentimento ed emarginazione dei singoli autori. |
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