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Il maggio voglio che facciate en Cagli con una gente di lavoratori, con muli e gran distrier zoppicatori: per pettorali forti reste d’agli1. Intorno a questo sianovi gran bagli di villan scapigliati e gridatori, de’ qual’ resolvan sì fatti sudori, che turben l’aire sì che mai non cagli2; altri villan poi facendovi mance di cipolle porrate e di marroni, usando in questo gran gavazze e ciance3: e in giù letame ed in alto forconi: vecchie e massai baciarsi per le guance; di pecore e di porci si ragioni4. 1 Il maggio voglio… d’agli: Voglio che trascorriate (facciate) il maggio a (en) Cagli (cittadina tra Pesaro e Urbino) con una folla (gente) di contadini (lavoratori), con muli e grandi cavalli zoppi (zoppicatori), <che abbiano> al posto dei (per) pettorali filze intrecciate (reste) di aglio dal forte odore (forti). Il sonetto costituisce una puntuale parodia di quello omonimo di Folgòre [F9]. 2 Intorno a questo… non cagli: Intorno a tutto questo vi siano dei grandi balli (bagli) di contadini (villan) scomposti (scapigliati) e urlanti (gridatori), dai quali emanino (resolvan) dei sudori tali (sì fatti) che inquinino l’aria (turben l’aire) in modo che non si rassereni (cagli) mai. 3 altri villan… e ciance: <e vi siano> poi altri contadini che vi facciano (facendovi) doni (mance) di cipolle, di porri (porrate) e di castagne (marroni), e che facciano (usando) al tempo stesso (in questo) grandi gozzoviglie (gavazze) e chiacchiere (ciance). 4 e in giù… ragioni: <e si lancino> letame verso il basso (in giù) e forconi verso l’alto; vecchie e fattori (massai) si bacino sulle guance; si parli (ragioni) di pecore e di porci. Livello metrico Sonetto con rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine. Lo schema è ABBA, ABBA; CDC, DCD. Si tratta dello stesso schema del sonetto omonimo di Folgòre da San Gimignano . Identiche sono anche le rime. Il sonetto di Cenne presenta nella prima quartina una rima equivoca («Cagli» : «cagli»). L’ambientazione del sonetto nella località marchigiana di Cagli è stata evidentemente determinata dalla necessità di ricalcare pedissequamente le rime del testo parodiato.[F9] Livello lessicale, sintattico e stilistico L’intenzione parodistica è evidenziata dalla scelta lessicale, che tende sistematicamente alla degradazione dei raffinati oggetti e delle atmosfere festose che costituiscono allietano la brigata cantata da Folgòre. Gli oggetti rappresentati da Cenne rimandano tutti a una realtà rusticana, ed evidenziano aspetti fisici (come il sudore) che accentuano il contrasto parodistico con il modello. La costruzione sintattica, nel sonetto di Cenne, è meno raffinata. Ciascuna delle due quartine ha un diverso verbo reggente («voglio, v. 1; «sianovi», v. 5); sono ellittiche del verbo reggente – come in Folgòre – le due terzine; ma assai più ridotto è l’uso dell’infinito, confinato solo al v. 13. Livello tematico Il sonetto costituisce, come si è detto, una puntuale parodia dell’omonimo componimento di Folgòre. Il genere del plazer, elenco di cose piacevoli, si rovescia nel suo opposto, l’enueg, elenco di cose fastidiose. Ai cavalli vengono sostituiti i «muli» (v. 3); sono presenti alcuni destrieri, ma essi sono «zoppicatori» (v. 3; i cavalli di Folgòre erano invece «corritori»); i raffinati pettorali vengono sostituiti da improbabili «reste d’agli». La giostra d’arme della seconda quartina diventa, in Cenne, una danza di villani di cui balza in primo piano l’elemento più corposo e spiacevole, il sudore. Al posto del pubblico festante, nelle terzine, stanno altri villani, importuni e rumorosi; le «ghirlande» lanciate verso il basso e le «melerance» gettate verso l’alto vengono sostituite, rispettivamente, da «letame» e «forconi» (v. 12); nella scena del bacio, alle «pulzellette» e ai «garzoni» si sostituiscono rispettivamente «vecchie» e «massai»; l’argomento di conversazione, infine, non è più l’«amor» e il «goder»: qui si ragiona solo «di pecore e di porci» (v. 14). La parodia è scoperta e può apparire, alla lunga, anche piuttosto meccanica. È interessante notare, però, come Cenne non prenda di mira un modello particolarmente nobile, ma un poeta che rientra, anche se con la sua specificità, nell’ambito dei “comici”. «Facendo precipitare nel lezzo l’onesto tentativo di Folgòre», ha osservato a questo proposito Giorgio Petrocchi, Cenne finisce dunque per ribadirne l’isolamento e adempie «una sua funzione letteraria, di certo inconsapevole: conservare il realismo toscano nei limiti del suo programma d’arte e di cultura, ricollegandolo ai giullari e ai goliardi, tenendo sempre in vita quella “grossa” allegria che sarà poi, sul finire del Trecento e lungo l’arco del Quattrocento, ripresa nei temi e moltiplicata nel linguaggio dalla letteratura popolare»1. 1 Giorgio Petrocchi, “I poeti realisti”, in Storia della letteratura italiana, dir. Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1969, vol. I, Il Duecento, pp. 722/723). |
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