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Cortesia cortesia cortesia chiamo e da nessuna parte mi risponde, e chi la dèe mostrar, sì la nasconde, e perciò a cui bisogna vive gramo1. Avarizia le genti ha preso all’amo, ed ogni grazia distrugge e confonde; però se eo mi doglio, eo so ben onde: di voi, possenti, a Dio me ne richiamo2. Ché la mia madre cortesia avete messa sì sotto il piè che non si leva; l’aver ci sta, voi non ci rimanete3! Tutti siem nati di Adamo e di Eva; potendo, non donate e non spendete: mal ha natura chi tai figli alleva4. 1 Cortesia… vive gramo: Grido “generosità, generosità, generosità”, ma <essa> non mi risponde da nessun luogo, e chi dovrebbe farne mostra (la dèe mostrar), invece (sì, con valore avversativo) la nasconde, e perciò <colui> che ne ha bisogno vive in povertà (gramo). 2 Avarizia… me ne richiamo: L’avarizia ha catturato (preso all’amo, metafora) tutti (le genti), e distrugge e disperde (confonde) ogni nobile sentimento (ogni grazia); perciò (però, con valore causale, dal latino per hoc), se io mi addoloro, io so bene per quale motivo (onde) <lo faccio>: mi lamento presso Dio (me ne richiamo; il pronome «ne» è pleonastico) di voi potenti (possenti). 3 Ché la mia madre… rimanete: Poiché (Ché) avete tanto calpestato (messa sì sotto il piè) la mia madre cortesia, che non può più rialzarsi (non si leva); la ricchezza (l’aver) resta sulla terra (ci significa qui), <ma> voi siete destinati a morire (non ci rimanete). 4 Tutti siem nati… alleva: Siamo tutti figli (nati) di Adamo e di Eva (in altre parole, siamo tutti mortali); pur avendone la possibilità (potendo, con valore concessivo), voi non fate doni e non spendete <le vostre ricchezze>. Ha cattiva natura chi alleva figli simili a voi (tai figli: l’espressione probabilmente vuole bollare i «possenti» come “figli dell’avarizia”, mentre il poeta, al v. 9, si è definito figlio della cortesia). Livello metrico Sonetto con rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine. Lo schema è ABBA, ABBA; CDC, DCD. Livello lessicale, sintattico e stilistico Il testo è articolato in quattro periodi, coincidenti con le quattro strofe. Ciascun enunciato tende a disporsi in un singolo verso; c’è solo un enjambement (vv. 9-10). A livello lessicale sono presenti diversi sostantivi astratti («cortesia», «avarizia», «grazia»), come si conviene a un testo di polemica etico-ideologica. Numerose sono le metafore, che nel caso dei due concetti-chiave comportano una sorta di personificazione: la cortesia è designata esplicitamente come madre del poeta (v. 9); e l’avarizia, che risulta essere la madre dei «possenti» da lui deplorati (cfr. nota ), viene ritratta antropomorficamente mentre prende all’amo «le genti». Di particolare efficacia visiva è poi la metafora che rappresenta la virtù calpestata (v. 10). Sul piano delle figure dell’ordine, è notevole la triplice ripetizione del v. 1, che mima l’insistita e vana ricerca dell’antica virtù. Livello tematico Il valore della «cortesia», che in questo contesto indica essenzialmente la liberalità (cioè l’uso generoso delle proprie ricchezze, da spendere a beneficio del prossimo bisognoso o per godere, insieme agli altri, di magnifici piaceri e divertimenti), appartiene al mondo feudale-cavalleresco e contrasta con l’etica della pura accumulazione del denaro, propria della mentalità mercantile. L’ascesa della borghesia comunale è uno dei fattori che imprimono la direzione dello sviluppo alla letteratura duecentesca (al di fuori di questo contesto non sarebbe pensabile un testo come Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli [E1]). Ma la poesia italiana pone di solito in secondo piano il tema del denaro, insistendo piuttosto sull’appropriazione, da parte dei gruppi alto-borghesi, dei valori morali ereditati dalla civiltà feudale (la “gentilezza” di cui parla Guinizzelli, appunto). Sono i comici, nell’ambito della letteratura in volgare, a introdurre in forme polemiche e risentite la tematica economica. In Folgòre prevale un atteggiamento moralistico; egli rimpiange i valori cortesi e depreca il trionfante vizio dell’avarizia, non disdegnando in questo sonetto qualche incursione sul terreno della meditazione sulla natura umana (vv. 11-12). Con ben diverso realismo il tema figura nell’opera di Cecco Angiolieri [F4], il cui risentimento non nasce dalla condanna morale per il denaro, ma piuttosto dal desiderio di possederne in quantità maggiore. L’atteggiamento di Folgòre nei confronti del denaro può considerarsi, in parte, anticipatore di quello di Dante. Ma diversi sono i presupposti che conducono i due poeti alla deplorazione del proprio presente. In Dante la polemica trova il suo nucleo ispiratore fondamentale nella dimensione etico-religiosa, e da essa nasce l’attesa di un profondo rinnovamento del mondo (la polemica di Dante, dunque, si proietta verso il futuro, sia pure in forma utopistica). L’orizzonte di Folgòre resta nel complesso più ristretto: alla base della sua deplorazione per l’esistente è soprattutto il rimpianto per un’epoca al tramonto, il gusto mondano dei piaceri di corte; una mentalità laica e raffinata che troverà la sua espressione lirica nella corona di sonetti dedicati ai mesi [F9]. |
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