F1
Rustico Filippi
Oi dolce mio marito Aldobrandino

Oi dolce mio marito Aldobrandino,
rimanda ormai il farso suo a Pilletto,
ch’egli è tanto cortese fante e fino
che creder non déi ciò che te n’è detto1.

E no star tra la gente a capo chino,
ché non se’ bozza, e fòtine disdetto;
ma sì come amorevole vicino
co•noi venne a dormir nel nostro letto2.

Rimanda il farso ormai, più no il tenere,
ch’e’ mai non ci verrà oltre tua voglia,
poi che n’ha conosciuto il tuo volere3.

Nel nostro letto già mai non si spoglia.
Tu non dovéi gridare, anzi tacere:
ch’a me non fece cosa ond’io mi doglia4.




1 Oi dolce… n’è detto: O (Oi) mio dolce marito Aldobrandino, restituisci ormai il suo corpetto (farso: un indumento che si indossava sopra la camicia e si toglieva solo per spogliarsi) a Pilletto, poiché (ch’) egli è un giovane (fante) tanto cortese e gentile (fino), che non devi credere a ciò che ti si dice di lui (ciò che te n’è detto). A parlare è la moglie di Aldobrandino (personaggio di incerta identificazione), che vuole indurre il marito a non credere a un suo tradimento con Pilletto, e addirittura a restituire a quest’ultimo l’indumento che il giovane ha frettolosamente dimenticato in casa sua. «Cortese fante e fino» è un iperbato; su un piano di lettura “più intelligente” di quello del marito, l’espressione può alludere alle qualità amatorie di Pilletto (il termine «fante» può infatti significare amante).

2 E non star… nostro letto: E non andare in mezzo alla gente con il capo chino <per la vergogna>, perché tu non sei cornuto (bozza), e io te ne faccio (fòtine) smentita (disdetto); ma <Pilletto> venne a dormire con noi nel nostro letto (l’espressione potrebbe essere intesa come venne a farci visita, ma contiene un evidente doppio senso) come un vicino affezionato (amorevole; ma anche quest’aggettivo presenta un doppio senso).

3 Rimanda… il tuo volere: Restituisci ormai il corpetto, non tenerlo più, dato che egli (e’) non verrà più qui (ci) contro la tua voglia, ora che ha conosciuto la tua volontà. La donna presenta il tradimento quasi come una gentilezza che Pilletto ha voluto fare ad Aldobrandino, e che egli non ha saputo apprezzare.

4 Nel nostro letto… ond’io mi doglia: Non si spoglierà (spoglia, presente con valore di futuro) più (già mai) nel nostro letto. Tu non dovevi (dovéi) gridare, anzi <dovevi> tacere, poiché <Pilletto> non mi ha fatto nulla di cui io possa lamentarmi (ond’io mi doglia). Prima uno sfrontato rimprovero rivolto al marito per lo scandalo inutilmente sollevato, poi un ammiccante doppio senso: la litote dell’ultimo verso allude, evidentemente, alla soddisfazione sessuale della donna.



Livello metrico
Sonetto con rime alternate sia nelle quartine che nelle terzine. Lo schema è ABAB, ABAB; CDC, DCD.

Livello lessicale, sintattico e stilistico
Sul piano della comunicazione, il testo è incentrato sulla funzione conativa: l’emittente (la moglie) cerca di convincere il destinatario (il marito) a restituire all’amante il capo di vestiario che egli ha dimenticato, e comunque a non considerare ciò che è accaduto come un disonore familiare. L’imperativo «rimanda» vi compare due volte: all’inizio delle quartine (v. 2), prima della sconcertante proclamazione dell’innocenza dei rapporti tra la donna e Pilletto; e all’inizio delle terzine (v. 9), prima della promessa che il fatto – se il marito non vuole – non si ripeterà. Anche la seconda quartina si apre su un imperativo («E no star», v. 5). Funzione analoga all’imperativo ha poi l’enunciato «creder non déi» (v. 4); il verbo “dovere” ricorre infine, all’imperfetto, al v. 13 («Tu non dovéi gridare, anzi tacere»).
Il marito sciocco e tradito, però, è solo il destinatario interno al testo. Il lettore consapevole, destinatario finale del componimento, interpreterà le parole della moglie attivando un più intelligente livello di lettura e sciogliendo le molte ambiguità del suo linguaggio. È da questo, in definitiva, che scaturisce il divertimento di chi legge.
Rustico utilizza un lessico che designa con esattezza oggetti concreti e atti della vita quotidiana (il letto nuziale, l’indumento dimenticato da Pilletto, lo spogliarsi) e non disdegna l’espressione popolaresca («bozza», v. 6) per sottolineare il disonore del marito. Nelle quartine si fa ricorso a termini propri della lirica trobadorica («cortese fante e fino», v. 3), usati però ironicamente. Quest’alternanza di un registro quotidiano con uno più elevato dimostra che non siamo certo di fronte ad una letteratura “minore”, di improvvisazione, bensì ad una ricercata e mirata trasgressione delle regole imposte dalla tradizione lirica ufficiale del periodo, quella cortese-stilnovistica.
Sul piano fonico, particolarmente elaborata appare la prima quartina che presenta diverse allitterazioni (in m e in dentale: «Oi dolce mio marito Aldobrandino»; in r e m: «rimanda ormai il farso»; in dentale, in n e in f: «tanto cortese fante e fino»; in c gutturale e in dentale: «che creder non déi ciò che te n’è detto»).

Livello tematico
La situazione è teatrale: accanto alla moglie infedele che costruisce la sua improbabile apologia, si profila la figura silenziosa e grossolana di Aldobrandino, fatalmente destinato a lasciarsi ingannare dalla dialettica della donna, fino a restituire al giovane la prova della sua colpevolezza (il corpetto incautamente dimenticato sul luogo del delitto). La prima terzina potrebbe anche autorizzare un’interpretazione più sottile – e più perfida – del discorso della donna: non si può escludere che il marito abbia in passato dato il suo consenso al tradimento (sembra infatti che il suo «volere» sia cambiato solo da ultimo; v. 11); o che possa addirittura essersi compiaciuto (e da qui il richiamo alla «voglia» del v. 10) di un eterodosso ménage à trois.
Protagonista assoluta è comunque la moglie infedele e maliziosa; ed è già, questa, una novità significativa rispetto allo Stilnovo. Dopo il lunghissimo vocativo iniziale (un intero, zuccheroso verso occupato per metà dal nome del marito) la donna cerca di scolparsi esibendo tutto il suo finto candore. Nelle quartine e nella prima terzina sembra addirittura stupita del dispiacere del marito. Ma dietro le sue parole è nascosto il doppio senso: la qualifica di «cortese fante e fino» con cui essa vuole scusare Pilletto può costituire anche – per lo stesso uso di termini propri della lirica amorosa tradizionale – un sottinteso elogio delle sue capacità amatorie; la qualifica di «amorevole vicino» del v. 7 può leggersi come sottolineatura, già più esplicita, della vera natura del rapporto; il sintagma «nel nostro letto», ripetuto per due volte (vv. 8 e 11; nel primo caso in connessione con il verbo “dormire”, certo da intendersi come eufemistica metafora; nel secondo in connessione con un verbo tutt’altro che innocente, “spogliarsi”) sottolinea con crudeltà il fatto che il tradimento si sia consumato proprio tra le lenzuola matrimoniali.
Il doppio senso si fa sfacciato nell’ultima terzina: non solo, capovolgendo la logica delle cose, la moglie incolpa il marito per aver gridato allo scandalo; ma addirittura – sull’arbitrario presupposto che egli avrebbe avuto diritto di arrabbiarsi solo se a soffrire fosse stata lei – lo rassicura, con una maliziosa litote, che Pilletto non le ha procurato nessuna sensazione spiacevole.
Il sonetto risulta, nel complesso, la felicissima trascrizione in forma lirica di una situazione tipica della commedia e destinata a grande fortuna anche nella tradizione narrativa: il tema della beffa ordita dalla donna contro il marito, già presente nei fabliaux, costituirà l’argomento di un’intera giornata – la settima – del Decameron.




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