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In un boschetto trova’1 pasturella più che la stella2 – bella, al mi’ parere. Cavelli3 avea biondetti e ricciutelli, e gli occhi pien’ d’amor, cera4 rosata; con sua verghetta5 pasturav’agnelli6; [di]scalza, di rugiada era bagnata; cantava come fosse ’namorata: er’adornata – di tutto piacere. D’amor7 la saluta’ imantenente8 e domandai s’avesse compagnia; ed ella mi rispose dolzemente9 che sola sola per lo bosco gia10, e disse: «Sacci11, quando l’augel pia12, allor disìa13 – ’l me’ cor drudo14 avere». Po’ che mi disse di sua condizione15 e per lo bosco augelli audìo16 cantare, fra me stesso diss’i’: «Or è stagione di questa pastorella gio’17 pigliare». Merzé le chiesi sol che di basciare ed abracciar, – se le fosse ’n volere18. Per man mi prese, d’amorosa voglia19, e disse che donato m’avea ’l core; menòmmi sott’una freschetta foglia20, là dov’i’ vidi fior’ d’ogni colore; e tanto vi sentìo gioia e dolzore21, che ’l die22 d’amore – mi parea vedere. 1 trova’: trovai. 2 più che la stella: più delle stelle. L’uso del singolare al posto del plurale può essere considerato un tipo di metonimia. Toviamo lo stesso paragone in Guinizzelli, Io voglio del ver la mia donna laudare, v. 3: «più che la stella diana splende e pare». 4 cera: carnagione, volto (gallicismo). 6 pasturav’agnelli: pascolava degli agnelli. 9 dolzemente: gallicismo formale. 14 drudo: amante, con chiaro riferimento alla realizzazione fisica dell’amore. 15 condizione: l’essere sola e desiderosa di avere un «drudo». 16 audìo: udii. La radice è latina (audire). 18 Merzè… volere: le chiesi solo (sol che) grazia (merzè) di poterla baciare e abbracciare, se ne avesse desiderio. 19 d’amorosa voglia: mossa da un desiderio amoroso. 20 freschetta foglia: fogliame fresco, ombroso. Livello metrico Ballata minore formata da quattro stanze di endecasillabi. Ripresa: B(b)X. Stanza: ABAB (fronte); B(b)X (sirma)1. La sirma, di due soli endecasillabi, presenta rima al mezzo (b) nell’ultimo verso; lo schema della sirma ricalca dunque esattamente quello della ripresa. Tutte le stanze finiscono con la stessa rima (-ere). Livello lessicale, sintattico, stilistico La poesia ha un tono gioioso e spensierato, che viene sottolineato da un andamento sintattico quasi elementare: lo stile paratattico domina; le rime sono soprattutto facili, cioè formate da parole che terminano con la stessa desinenza grammaticale («bagnata» : «innamorata», «gia» : «pia», «cantare» : «pigliare» : «basciare»); i diminutivi sono frequenti, come costante è la presenza della congiunzione «e». Non assistiamo alla consueta teatralizzazione dei moti dell’animo: la vicenda descritta è puramente oggettiva e il testo (fatto, questo, rarissimo in Cavalcanti) ha carattere narrativo. Sono infatti evidenziabili due nuclei: a) vv.1-8: il poeta narra del suo incontro con una pastorella che, mentre conduce al pascolo i suoi agnelli, canta come una innamorata; b) vv. 9-26: viene raccontato il colloquio confidenziale con la pastorella, l’approccio e quindi il felice esito della vicenda amorosa. Livello tematico Questa ballata, che come si è detto rappresenta un esempio dell’aspetto gioioso e meno tragico della poesia di Cavalcanti, non deve essere certo letta in chiave autobiografica e moderna; il testo sottolinea invece la volontà di Cavalcanti di sperimentare vari e diversi registri. Il genere ci riporta alla pastorella, un componimento molto diffuso presso i poeti provenzali, che mette solitamente in scena, su uno sfondo naturale, incontri e schermaglie amorose fra un nobile ed una popolana che inevitabilmente, ma consapevolmente e volontariamente, cade nelle grinfie del signore. La concezione dell’amore è fortemente sensuale e materiale. Il componimento appare lontano dalla sofisticata e sublime visione stilnovistica dell’amore inteso come raffinata esperienza interiore: ma, in modo del tutto originale rispetto alla tradizione, il tema dell’amore sensuale viene trattato con un tono delicato, quasi stilnovistico. Il poeta si avvale di stereotipi ormai convenzionali nelle lingue d’oc e d’oil, come il topos del locus amoenus, per sublimare l’incontro sessuale. Cavalcanti riesce a trasformare la modica coactio, della quale parla il De amore di Andrea Cappellano trattando degli incontri con donne di rango inferiore, in un’esperienza da sogno; afferma così, in modo indiretto ma chiaro, che il raggiungimento del nudo piacere fisico non poteva essere realizzato con una donna gentile. La pastorella, pur ricordando la Arianna abbandonata2 dall’infame Teseo, è comunque discinta, vestita di sola rugiada, ma spensierata perché canta d’amore; e sarà tale fino a Poliziano. La donna angelo invece non parla, gela solo con il suo sguardo, immobilizza il suo amante. Il saluto della pastorella non beatifica, non eleva l’uomo; al contrario, è semplicemente un’esplicita richiesta d’amore. La congiunzione «e» (v. 16) non indica uno sviluppo drammatico della situazione, ma semplicemente un chiaro ed eclatante invito d’amore. La pastorella che la tradizione poetica ci consegna non è poi donna da mezze misure: è decisa nel suo ruolo, o si concede esplicitamente oppure trasforma il suo canto in un urlo per chiamare soccorso. In Cavalcanti tutto questo però non avviene realmente: la ballata è infatti pervasa dal senso di malinconia tipico dei componimenti del Guido fiorentino e rintracciabile nelle parole-chiave «boschetto», «pastorella» (i consueti diminutivi affettuosi); il lessico inoltre ci indica che in quest’opera il poeta sta narrando un sogno, qualcosa da cui in realtà è completamente distaccato. 1 Le lettere minuscole tra parentesi indicano le rime interne all’endecasillabo. 2 Ovidio, Ars Amatoria, I, vv. 527 e sgg.: «tunica velata recinta, / Nuda pedem…». |
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