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Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo che fate quando v’encontro, m’ancide1: Amor m’assale e già non ha riguardo s’elli face peccato over merzede2, ché per mezzo3 lo cor me lanciò un dardo ched oltre ’n4 parte lo taglia e divide5; parlar non posso, ché ’n pene io ardo sì come quelli6 che sua morte vede. Per li occhi passa come fa lo trono7, che fer’8 per la finestra de la torre e ciò che dentro trova spezza e fende: remagno come statüa d’ottono, ove vita né spirto non ricorre, se non che la figura d’omo rende9. 1 ancide: uccide. 2 s’elli face… mercede: se mi danneggi o mi faccia grazia, abbia pietà di me. 4 oltre ’n parte: da parte a parte. 5 taglia e divide: dittologia sinonimica, come «spezza e fende» al verso 11. 9 ove…rende: nella quale non si manifestano né vita né anima (vita né spirto), ma che ha solo la sembianza di un uomo. Livello metrico Sonetto, costituito classicamente da due quartine con rima ABAB, ABAB e due terzine a rima CDE, CDE. La rima B è una rima siciliana. «Vede» (v. 8) è rima ricca, dal momento che si ha identità anche della consonante che precede la vocale tonica (divide- vede). Livello lessicale, sintattico, stilistico La struttura del sonetto è molto elaborata ed è possibile individuarvi delle precise simmetrie. Il punto fermo alla fine del v. 8 divide il testo in due parti che si corrispondono. La vicenda interiore descritta nelle quartine è puntualmente doppiata dalle due figurazioni esteriori che si accampano vigorosamente nelle terzine, quella del «trono», e della «statüa d’ottono». I versi delle quartine sono divisi in gruppi di distici dai due punti al v. 2 e dal punto e virgola al v. 6. In tal modo gli effetti dell’innamoramento sull’amante (ai vv. 1-2 e 7-8) e l’azione di Amore (ai vv. 3-4, e 5-6, sintatticamente coesi per la presenza del «ché» al v. 5) sono disposti in chiasmo. Di tale struttura rimane traccia nelle terzine, con la ripresa dell’azione di Amore (soggetto di «passa») al v. 9 e degli effetti dell’innamoramento al v. 12 (dove torna la prima persona). I due versi, due proposizioni principali che registrano rispettivamente il movimento fulmineo e l’altrettanto fulmineo raggelamento nella stasi, simmetrici pure per la similitudinre e la rima, sono seguiti, ancora simmetricamente, da due espansioni – una relativa, l’altra locativa – entrambe di due versi. La prima quartina introduce il tema della sofferenza nei primi due versi; il verbo «ancide» non a caso è posto al termine del secondo verso e precede i due punti: il poeta spiega la causa di quanto ha laconicamente affermato sopra; viene descritto l’agire di Amore, l’effetto della freccia che «taglia e divide». L’«ancide» del v. 2, quindi, corrisponde a «taglia e divide», azione resa concreta e visibile dalla descrizione naturalistica del fulmine che «spezza e fende» (v. 11). La ripresa è puntuale: due coppie di verbi sinonimici, collocate simmetricamente nella stessa posizione, a fine verso. L’ultima terzina specifica quanto affermato al v. 7 («parlar non posso»), come il v. 13 («vita né spirto non ricorre»), corrisponde al v. 8, «sì come quelli che sua morte vede»: l’amante si è trasformato in una statua di ottone, non più percorsa da alcuno spirito né flusso vitale e di umano ha solo le sembianze esterne (come la torre conserva le mura, ma all’interno è distrutta dal fulmine). Nei periodi domina l’ipotassi, semplice ed alleggerita da numerose coordinate. Il lessico è piano, ma fortemente connotato dalla sofferenza d’amore: «m’ancide», «m’assale», «taglia e divide», «’n pene io ardo», «morte», «spezza e fende», «vita né spirto non ricorre»; lo stile è chiaro, drammatico, ma sostenuto dalla presenza oggettivante delle figure nelle terzine; contribuiscono a irrobustirlo effetti fonici come l’allitterazione in TR che trama tutta la prima terzina, quasi facendola vibrare dell’effetto della folgorazione (trono, finestra, dentro, trova, oltre a torre). Livello tematico Il sonetto, come si è detto, è divisibile in due parti: nelle quartine emergono gli effetti diretti del saluto e dello sguardo della donna sull’amante; nelle terzine è riscontrabile la similitudine tra tali eventi e il mondo circostante il poeta ed è presente il paragone diretto dell’azione della donna sull’uomo con quanto accade in natura. Il tema del saluto e della gentilezza della donna, rintracciabile nelle parole chiave «saluto» e «gentile», rimanda a un motivo ricorrente della poesia stilnovistica, già evidenziato in Al cor gentil rempaira sempre amore. Ma in questo caso il saluto dell’amata non produce il magistrale effetto di beatitudine riscontrato in altri componimenti: nella prima quartina il verbo «m’ancide» rompe la serenità dell’inizio e l’attenzione passa, dalla donna, ai dolorosi effetti che l’amore produce sull’innamorato. Amore lo assale senza preoccuparsi se abbia sull’uomo effetti benefici o dolorosi: Guinizzelli riprende così il tema della pena d’amore, utilizzando metafore precedentemente note, tra cui quella del dardo che provoca una ferita, già usuale nel romanziere francese Chrétien de Troyes ed in Ovidio (Ars Amatoria, I, vv. 23-24: «Quo me fixit Amor, quo me violentius ussit,/hoc melior facti vulneris ultor ero»). La situazione però è resa in modo molto più drammatico e viene tragicamente vissuta dall’uomo. Il cuore dell’amante è ferito dal dardo scoccato da Amore, al punto da provocare il blocco della parola (un effetto già noto nella precedente casistica d’amore). La novità sta nel fatto che Guinizelli descrive Amore come un dio ovidiano, completamente indifferente verso le piaghe mortali che ha causato nell’uomo. La seconda parte del sonetto descrive con una similitudine il tragitto del dardo di Amore, lanciato, secondo tradizione, attraverso gli occhi della donna. La potenza della freccia è paragonabile a quella di un fulmine, che entrando dalla finestra di una torre distrugge all’interno l’edificio. Guinizzelli immagina il corpo dell’amante come se fosse la torre colpita dalla saetta: la freccia scoccata, cioè il fulmine, penetra negli occhi dell’uomo, raggiunge il suo cuore e distrugge dall’interno il poeta, il quale a null’altro è ridotto se non a una statua d’ottone, che ha parvenza umana, ma è completamente priva di vita interiore. Il rapporto cuore-occhi nella nascita dell’amore è caricato di una tragicità nuova. L’angoscia, rintracciabile in questa descrizione della nascita dell’innamoramento, anticipa i temi ed i modi cavalcantiani e forse, in parte, quelli petrarcheschi: anche per gli stilnovisti l’amore è una passione che può sconvolgere. Lo stilnovismo, quindi, non è solo la riflessione sugli effetti miracolosi dell’apparizione della donna, sull’opera di ingentilimento che ella riesce a compiere sugli uomini, ma pure, al contrario, è descrizione dello stato di turbamento interiore che colpisce chiunque si innamori. |
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