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Io voglio del ver1 la mia donna laudare ed asembrarli2 la rosa e lo giglio: più che stella diana3 splende e pare4, e ciò ch’è lassù5 bello a lei somiglio6. Verde river’7 a lei rasembro e l’âre8, tutti color di fior’, giano e vermiglio9, oro ed azzurro10 e ricche gioi per dare11: medesmo Amor per lei rafina meglio12. Passa per via adorna, e sì gentile ch’abassa orgoglio a cui dona salute13, e fa ’l de nostra fé se non la crede14; e no•lle pò apressare om che sia vile15; ancor ve dirò c’ha maggior vertute: null’om pò mal pensar fin che la vede16. 1 del ver: in modo veritiero. 2 asembrarli: paragonare ad essa. 3 stella diana: Venere, l’astro che annuncia il mattino (l’aggettivo diana viene dal latino dies). 4 pare: appare in tutta la sua luminosità; costituisce, con «splende», endiadi. 9 giano e vermiglio: giallo e rosso. 10 oro ed azzurro: sono i colori delle gemme, dei gioielli. 11 gioi per dare: gioielli da donare. 12 medesmo… meglio: perfino Amore grazie a lei vieppiù si perfeziona (Contini). 13 a cui dona salute: a coloro ai quali concede il suo saluto. Ma la parola «salute», attraverso l’etimo latino salus, indica anche la salvezza dell’anima. Il tema del saluto - salute è ricorrente nello Stilnovo. 14 e fa … crede: e lo converte alla nostra fede se non è credente. 15 e no… vile: e non può avvicinarsi a lei nessun uomo che sia vile, che non sia gentile. 16 null’om… vede: nessun uomo, finché la vede, può concepire pensieri peccaminosi. Livello metrico Sonetto, costruito secondo il classico schema da due quartine con rima ABAB, ABAB e due terzine a rima CDE, CDE. 1 Livello lessicale, sintattico, stilistico La dolcezza dello stile risalta dalla chiarezza e linearità del dettato (gli enunciati tendono a corrispondere con i versi), dall’assenza di artifici e dalla semplicità del lessico. La materia è disposta secondo una legge di costruzione simmetrica, che denota una grande attenzione all’aspetto formale. Così nei primi due versi, dopo l’enunciazione dell’intenzione del poeta sottolineata dall’allitterazione («io voglio del ver»), si succedono due infiniti, da ciascuno dei quali dipende un complemento oggetto, disposti a chiasmo: nel primo verso si ha il complemento oggetto seguito verbo («la mia donna laudare»); nel secondo verso l’ordine è invertito («asembrarli la rosa e lo giglio»). La costruzione dell’ultimo verso della quartina richiama poi in modo speculare quella del primo, in particolare per la posizione dei verbi («io voglio» all’inizio del v. 1, «somiglio» alla fine del v. 4). Meno articolata la seconda quartina, che si distende in una enunciazione paratattica delle immagini piacevoli evocate dal poeta per raffigurare per similitudine la donna (secondo la tecnica del plazer provenzale). Con l’ultimo verso della seconda quartina (e cioè a metà esatta del componimento) si ha uno slittamento del soggetto dal poeta all’Amore e, da questo, alla donna. Nelle terzine, specie nell’ultima, la corrispondenza tra ritmo e sintassi diviene quasi perfetta: a ciascun verso corrisponde una proposizione (e si tratta quasi sempre di proposizioni tra loro coordinate). La scelta linguistica è in linea con la precedente tradizione poetica, presentando qualche gallicismo come «rivera», «giano»; alla tradizione rimanda anche la coppia di verbi che, nel terzo verso, designa il manifestarsi della donna: si ha infatti la classica dittologia sinonimica («splende e pare»). Livello tematico Il sonetto può essere letto come un repertorio dei temi classici della poesia stilnovistica: la lode della donna, il saluto apportatore di salvezza, il tema del «cor gentile» (indicato per negazione del suo contrario, la «viltà», nelle terzine), la sublimazione della donna trasformata in un essere soprannaturale. Notevoli i riferimenti tematici alla tradizione provenzale (l’elenco di immagini naturali rimanda, come si è già detto, al plazer; anche il topos della «stella diana» deriva dalla letteratura in lingua d’oc). È notevole soprattutto la connotazione religiosa dell’azione della donna, presente fin dal primo verso (il verbo «laudare» evoca infatti il tema religioso della “lode” di Dio) ed esplicitata soprattutto nelle terzine: dal v. 9 al v. 14 si svolge il tema del passaggio femminile, ordinandone in climax gli effetti benefici: dapprima la visione «abassa» l’orgoglio dell’uomo; poi lo converte alla vera fede; infine gli impedisce perfino di concepire pensieri peccaminosi. Come già si è notato nell’analisi di Al cor gentil rempaira sempre amore [E1], Guinizzelli utilizza abbondantemente la similitudine e, anzi, sottolinea consapevolmente l’uso di questa figura retorica: i verbi «asembrarli» (v. 2), «somiglio» (v. 4), «rasembro» (v. 5), tutti alla prima persona, mettono in primo piano proprio la parola poetica e la sua capacità di istituire collegamenti tra l’azione salvifica della donna e le meraviglie della natura. La consapevolezza della potenza della parola poetica si collega, a sua volta, con la fiducia nella sua veridicità: e infatti il verbo «laudare» (v. 1) è preceduto dalla locuzione «del ver», che esprime proprio la certezza nella possibilità che il poeta, attraverso la similitudine e la capacità evocativa della parola, possa raggiungere una adeguata e veridica conoscenza di quel miracolo che è la donna amata; l’amore e la poesia, in sostanza, si presentano come forme di conoscenza, e anche per questo l’amore si connota di immagini gioiose e luminose. Tale fiduciosa, razionale certezza verrà tragicamente meno in Cavalcanti, come meglio vedremo in sede di analisi testuale della sua opera (si vedano in particolare Voi che per li occhi mi passaste 'l core [E6] e Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira [E7]. 1 Nel testo del sonetto ricostruito a cura di d’A. S. Avalle e inserito nell’edizione continiana dei Poeti del Ducento (Milano-Napoli, Ricciardi, 1960), il primo verso appare ipermetro (di 12 sillabe anziché di 11). In edizioni precedenti (ad esempio Rimatori del dolce stil nuovo, a cura di Luigi Di Benedetto, Bari, 1939) l’apocope dei termini iniziali («I’ vo’») rende esatto il computo sillabico; d’altra parte vi appare più estesa la toscanizzazione delle forme emiliane originali, per cui, ancora nell’edizione di Avalle – da preferire – la rima B risulta imperfetta (originariamente «geglio» : «someglio» : «vermeglio» : «meglio»). |
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