Se pareba boves1, alba pratalia araba2 albo versorio teneba3, negro semen seminaba4. Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne Deus5.
Il testo risale alla fine dell’VIII o al principio del IX secolo. È considerato il più antico documento del volgare italiano, ma alcuni studiosi dubitano che la lingua in esso utilizzata possa già definirsi “volgare”. Il testo – di non facile decifrazione – fu scritto da un copista veronese a margine di un codice liturgico, proveniente da Toledo, conservato nella Biblioteca Capitolare di Verona. Fu scoperto nel 1924. 1 Se…boves: Spingeva (pareba; il latino classico avrebbe avuto parabat) innanzi a sé (se, lat. class. sibi) i buoi (boves). Questa la traduzione più probabile del verso (il verbo “parare” ancora oggi, in Veneto, indica spingere in avanti e si usa con riferimento ai buoi aggiogati). Alcuni interpreti rendono però il “pareba” con assomigliava, appariva. Si è proposto anche di leggere “separeba”, con il significato di appaiava. Per la soluzione dell’indovinello rimandiamo all’analisi. 2 alba…araba: arava (araba, lat. class. arabat) i prati (pratalia) bianchi (alba). 3 albo…teneba: teneva (teneba, lat. class. tenebat) il bianco (albo, lat. class. album) aratro (versorio, lat. class. versorium). 4 negro…seminaba: seminava (seminaba, lat. class. seminabat) un nero (negro, lat. class. nigrum) seme (semen). 5 Gratias…Deus: Ti rendiamo (agimus) grazie, o Dio onnipotente <ed> eterno (sempiterne). Formula liturgica di ringraziamento, in corretto latino.
L’indovinello costituisce una metafora della scrittura. I buoi rappresentano le dita; l’aratura richiama lo scorrere della mano avanti e indietro lungo il foglio; i bianchi prati che vengono arati sono le pergamene; il bianco aratro è una penna d’oca; il nero seme è l’inchiostro con cui si scrive. La comprensione della metafora – costruita facendo ricorso al lessico dell’agricoltura, e resa trasparente nel significato dall’opposizione tra “bianco” e “nero” – consente dunque di risolvere l’indovinello, indicando il soggetto di tutte le azioni nella mano che scrive. Il testo appare interessante soprattutto dal punto di vista linguistico, come testimonianza della transizione – e coesistenza – tra latino classico e volgare, in un periodo databile tra l’VIII e il IX secolo. Livello metrico Metricamente il testo sembra ricalcare la struttura dell’esametro, il tradizionale verso della poesia classica latina. Tuttavia la trascrizione che abbiamo riportato non è l’unica possibile: alcune edizioni, infatti, propongono una diversa divisione in versi, meno vicina al modello del latino classico. Livello lessicale, sintattico, stilistico L’indovinello si divide in due parti linguisticamente ben distinte. Ai primi due versi corrisponde un testo caratterizzato da diversi elementi volgari, che si alternano però ad elementi latini genuini; l’ultimo verso è una formula liturgica di ringraziamento espressa in corretto latino. La “volgarità” del testo è ben visibile a livello morfologico e fonetico: - c’è in primo luogo da notare la caduta delle desinenze in -t della terza persona singolare dei verbi (il latino classico avrebbe avuto le forme “parabat”, “arabat”, “tenebat”, “seminabat”); - è scomparsa la desinenza in -um dell’accusativo maschile e neutro, sostituita da una desinenza in -o (“albo”, “negro”). - il dativo del pronome personale riflessivo, “sibi”, è sostituito da “se”; - la i breve del latino “nigrum” si è trasformata in e; - un verbo della prima coniugazione (“parabat”) è stato trasformato in verbo della seconda (come mostra la vocale “e” nella desinenza “pareba”). Tuttavia, anche queste forme “volgari” presentano ancora tratti che appaiono tipicamente latini. Il più notevole è, nella desinenza dei tre imperfetti, la presenza della consonante b, non ancora evolutasi in v. Anche la t di “pratalia” non è propria del volgare. In Veneto, infatti, si aveva la forma “pradalia”. Altre forme, invece, rimangono quelle del latino classico. Si mantiene pertanto l’uso delle consonanti finali -n ed -s in “semen” e in “boves”. Il lessico utilizzato rimanda al mondo dell’agricoltura, ma questo non dimostra affatto una origine popolare del testo. Al contrario, la metafora dell’aratura era usata comunemente in altri indovinelli, scritti in latino, che circolavano nello stesso periodo. Alcuni termini sono tuttora attestati in ambito veneto: “versòr”, per indicare l’aratro, è ancora in uso nel dialetto veronese e di Venezia; “parare”, nel senso di spingere e con riferimento ai buoi, è un termine schiettamente agricolo, ancora presente in vari dialetti dell’area di Comacchio e veneta. Livello tematico È possibile – anche se si tratta di un’ipotesi non da tutti condivisa – che l’autore del testo fosse ben consapevole di questa contaminazione tra forme latine e forme volgari. Il testo sembra infatti presentarsi come uno “scherzo” ben formulato: una specie di cantilena in cui fondamentale è la contrapposizione tra il latino classico e il volgare. Un testo dotto, dunque, dietro il quale opera uno scriba. Non va dimenticato, del resto, che è proprio all’attività dello scriba che alludono le metafore su cui è costruito l’indovinello. E l’ultimo verso, in latino classico, sembra rappresentarne la “firma”: l’attestazione della sua capacità di esprimersi perfettamente nella lingua della cultura.
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