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Tre sono dunque gli stili: umile, medio, grande. In relazione alle persone o alle cose di cui si tratta, si hanno queste designazioni1. Quando si tratta di persone di rango sociale elevato o di avvenimenti pubblici, lo stile si può definire grande; basso, quando si tratta di persone o argomenti umili; medio, di mezzani. Virgilio usa tutti e tre gli stili: umile nelle Bucoliche2, medio nelle Georgiche3, grande nell’Eneide4. L’inglese Goffredo di Vinsauf (XII-XIII sec.) – della cui biografia si conosce pochissimo – fu probabilmente docente di retorica presso l’università di Bologna intorno al 1200. Il Documentum de arte versificandi (Documento sull’arte del versificare) è un trattato di retorica in prosa. Il suo oggetto è l’Ars Poetriae, cioè l’insieme delle regole grammaticali e retoriche che presiedono alla composizione della poesia. 1 In relazione… designazioni: la scelta dello stile deve aderire all’oggetto della rappresentazione e lo stile più nobile può riservarsi solo a personaggi ed azioni nobili. Si tratta di un principio, non privo di implicazioni sociali, che verrà a lungo considerato valido anche in età moderna. 2 Bucoliche: poemetti di ambientazione pastorale. 3 Georgiche: poema didascalico sulla coltivazione dei campi. 4 Eneide: poema epico sulle leggendarie origini di Roma. Il brevissimo brano qui riportato proviene da un manuale scolastico. Il tono didascalico è evidente: i concetti sono ripetuti e illustrati da esempi, al fine di farli meglio memorizzare ai giovani studenti. Oggetto della trattazione è la teoria dei tria genera dicendi, elaborata dai latini e tramandata dalle scuole medievali. Il principio della divisione degli stili trova il suo caposaldo nell’Orator di Cicerone, secondo il quale il perfetto oratore deve, nelle diverse circostanze, saper adottare uno stile differente, commisurandolo all’argomento del discorso ed all’uditorio cui si rivolge. È da notare il fatto che, nel trattato di Goffredo, l’elevatezza dello stile viene fatta coincidere, tra l’altro, con la condizione sociale dei personaggi rappresentati. Tale principio avrà lunga fortuna nella letteratura italiana: la rappresentazione di personaggi di condizione bassa sarà a lungo esclusa, infatti, dalla letteratura seria, e limitata all’ambito di uno stile “basso”, spesso connesso con intenti scopertamente satirici. La divisione degli stili teorizzata da Goffredo si configura come un rigido schema ternario. Lo stesso tipo di schema era stato applicato all’organizzazione della società, intorno all’anno Mille, dal vescovo francese Adalberone da Laon [A12]. Si tratta in entrambi i casi – al di là della diversa tematica affrontata dai due testi – di modelli di interpretazione della realtà considerati immutabili. Il numero tre, del resto, aveva un valore simbolico e religioso evidente a tutti; sicché la disposizione a pensare il mondo in termini ternari si accompagnava alla convinzione che l’ordine del mondo – o, nel nostro caso, la codificazione delle norme che presiedono alla scrittura poetica – fosse immutabile e obbedisse direttamente al volere divino. È poi significativo il fatto che, come esempio della capacità di adeguare lo stile alla materia, venga indicato Virgilio, considerato nel Medioevo modello indiscusso di poesia. Sin dall’Alto Medioevo, del resto, la teoria degli stili si era costruita intorno all’opera di Virgilio. E addirittura la tripartizione era stata articolata facendo riferimento non solo al rango sociale dei personaggi, ma anche ai luoghi in cui possono operare, alla vegetazione che può essere rappresentata nelle opere poetiche, agli strumenti e agli animali che ciascuno stile meglio si adatta a rappresentare. Queste regole, nelle scuole medievali, venivano illustrate agli studenti attraverso la cosiddetta Rota Vergilii:
La teoria della divisione degli stili sarà ripresa da Dante, che parlerà di stile “tragico” (grave), “comico” (medio) ed “elegiaco” (umile). Per un approfondimento della questione – che presenta alcuni problemi interpretativi – rimandiamo alla trattazione del De vulgari eloquentia [G33]. |
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