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1. Orsù, omiciattolo, fuggi un po’ le tue occupazioni, allontanati un po’ dai tuoi tumultuosi pensieri1. Liberati adesso dalle tue pesanti preoccupazioni e metti da parte le tue faticose distrazioni2. Dedicati un po’ a Dio, e riposa un po’ in lui. Entra nella camera della tua mente, lascia fuori ogni cosa tranne Dio e ciò che ti serve per cercarlo e, chiusa la porta3, cercalo. Dì ora, o mio cuore tutto intero, dì ora a Dio: Cerco il tuo volto; il tuo volto, Signore, io ricerco4. 2. Orsù dunque, tu, Signore mio Dio, insegna al mio cuore dove e in che modo possa cercarti, dove e in che modo possa trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te, assente? E se sei in ogni luogo, perché non ti vedo presente5? Ma certo tu abiti una “luce inaccessibile”. E dov’è la luce inaccessibile? E come posso arrivare alla luce inaccessibile? E chi mi condurrà e introdurrà in essa, in modo che io possa vederti in essa? E poi, in base a quali tracce, a quale aspetto ti cercherò? Non ti ho mai veduto, Signore Dio mio, non conosco il tuo aspetto. Che farà, Signore altissimo, che farà quest’esule tuo lontano6? Che farà il tuo servo travagliato dall’amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti, e troppo gli manca il tuo aspetto. Desidera accedere e te, e la tua casa gli è inaccessibile. Desidera trovarti, e non sa dove sei. Cerca di raggiungerti e non conosce il tuo volto. Signore, sei il mio Dio, e sei il mio Signore, e mai io ti vidi. Tu mi creasti e ricreasti, mi desti ogni mio bene, e io non ancora ti conosco. In fondo io sono stato creato per vederti, e non ho ancora fatto ciò per cui sono stato creato. 3. O misera sorte dell’uomo, che ha perduto ciò per cui era stato creato7! O duro e crudele il suo destino! Ahimé, cos’ha perduto e cosa ha trovato8, cosa ha lasciato e cosa gli è rimasto! Ha perduto la beatitudine per la quale è stato creato, e ha trovato la miseria per la quale non è stato creato. Ha lasciato ciò senza cui non può mai esser felice9, e gli è rimasto ciò che in sé è soltanto misero. Allora10 l’uomo mangiava il pane degli angeli, di cui ora ha fame; mangia ora il pane del dolore, che allora non conosceva. O lutto di tutti gli uomini, o pianto universale dei figli di Adamo! Quello11 ruttava per la sazietà, noi sospiriamo per la fame. Egli viveva nell’abbondanza, noi mendichiamo. Egli possedeva felicemente e miseramente abbandonò, noi infelicemente viviamo nel bisogno e miseramente desideriamo. E, ahimé, restiamo a mani vuote. Perché non seppe12 custodire per noi, potendolo fare con facilità, ciò di cui abbiamo tanto bisogno? Perché ci tolse la luce e ci immerse nelle tenebre? Perché ci tolse la vita e inflisse la morte? Noi, pieni di affanni, da dove siamo stati cacciati, dove siamo stati mandati! Da che altezza siamo precipitati, quanto in basso siamo rovinati! Dalla patria all’esilio, dalla visione di Dio alla nostra cecità. Dalla gioia dell’immortalità all’amarezza e all’orrore della morte. Misero mutamento! Da quanto bene a quanto male! Grave danno, grave dolore, grave è tutto. 1 tumultuosi pensieri: i pensieri agitati di chi è occupato nelle cose mondane. 2 faticose distrazioni: tutte le quotidiane, faticose attività che distraggono dalla contemplazione di Dio. 3 Entra nella camera… chiusa la porta: le parole in corsivo sono citate dal Vangelo (Matteo, VI, 6). 5 non ti vedo presente: Dio è presente nel creato, ma si nasconde in esso; è impossibile scorgerlo se non si mostra a noi. 6 esule tuo lontano: l’uomo è esule, è lontano da Dio a cui appartiene, perché è stato cacciato dall’Eden dopo il peccato originale. 7 ciò… creato: la felicità dell’Eden. 8 cos’ha… trovato: quanto è grande ciò che ha perduto e quant’è piccolo ciò che ha trovato. 10 Allora: prima del peccato originale. 12 Perché non seppe: il soggetto è sempre Adamo. Il capitolo con cui si apre il Proslogion può dividersi in tre parti ben distinte, corrispondenti ai tre capoversi: 1) apostrofe all’uomo e incitamento alla ricerca di Dio; 2) apostrofe e preghiera a Dio perché si renda accessibile all’uomo; 3) deplorazione della misera sorte dell’uomo. Il tema centrale è quello dell’esilio, cioè dell’allontanamento dell’uomo dal suo bene, per il quale era stato creato, a seguito del peccato originale. Numerosi sono i richiami scritturali (i Vangeli, i Salmi, il Genesi). Il testo rivela alcuni aspetti tipici della mentalità medievale: l’uomo apprende dalla fede che l’atto di ribellione nei confronti di Dio ha corrotto alla radice il suo essere. La vita terrena è quindi la vita di un esule, che sa bene come il suo fine non sia in questo mondo. Dopo l’incitamento all’uomo perché purifichi il suo cuore e a Dio perché lo guidi nella sua ricerca, il discorso assume un andamento di efficace razionalità. Il testo è strutturato in modo binario: nel capoverso 2 si contrappongono il desiderio di vedere Dio e l’impossibilità, per l’uomo, di raggiungere questa felicità («anela a vederti, e troppo gli manca il tuo aspetto»; «desidera accedere e te, e la tua casa gli è inaccessibile»; «sono stato creato per vederti, e non ho ancora fatto ciò per cui sono stato creato», ecc.). Nel capoverso 3 si contrappone la perduta felicità edenica all’infelicità presente, sottolineando l’insanabile contraddizione tra le due condizioni. Sul piano stilistico ricorre la figura dell’antitesi («ha perduto la beatitudine», «ha trovato la miseria»; «ha lasciato ciò senza cui non può mai esser felice», «gli è rimasto ciò che in sé è soltanto misero»; «mangiava il pane degli angeli», «mangia il pane del dolore», ecc.). Frequenti le iterazioni (ad esempio: «certo tu abiti una “luce inaccessibile”. E dov’è la luce inaccessibile? E come posso arrivare alla luce inaccessibile?», 2), le anafore (come «Perché non seppe»… «Perché ci tolse»… «Perché ci tolse», 3), i parallelismi («Allora l’uomo mangiava il pane degli angeli, di cui ora ha fame; mangia ora il pane del dolore, che allora non conosceva», 3); non è rara la disposizione a chiasmo («Cerco il tuo volto; il tuo volto, Signore, io ricerco», 1). La traduzione italiana non può rendere adeguatamente la complessa tessitura stilistica del discorso, segnato anche da numerosi omoteleuti e poliptoti1. La strutturazione binaria, e il ricorrere degli artifici formali che si sono analizzati, conferisce al testo, soprattutto nel terzo capoverso, un andamento enfatico, rafforzato anche dalla concretezza di alcune immagini. La metafora del pane degli angeli, ad esempio, produce figurazioni corpose e talora plebee («Quello ruttava per la sazietà, noi sospiriamo per la fame. Egli viveva nell’abbondanza, noi mendichiamo»). Rigorosa strutturazione logica e calcolato utilizzo di figure retoriche sono funzionali alle finalità del Proslogion («discorso rivolto all’esterno»), opera innovativa rispetto alla tradizione, che si propone di offrire argomenti razionali per dimostrare l’esistenza di Dio, mentre fa della preghiera uno strumento per esprimere la consapevolezza della condizione umana. In questo senso Anselmo apre la strada che sarà percorsa quasi due secoli dopo da Tommaso d’Aquino. |
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