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[Inferno, canto II, vv. 37-142] E qual è quei che disvuol ciò che volle tal mi fec’io ’n quella oscura costa, «S’i’ ho ben la parola tua intesa», la qual molte fiate l’omo ingombra Da questa tema a ciò che tu ti solve, Io era tra color che son sospesi, Lucevan li occhi suoi più che la stella; “O anima cortese mantoana, l’amico mio, e non de la ventura, e temo che non sia già sì smarrito, Or movi, e con la tua parola ornata I’ son Beatrice che ti faccio andare; Quando sarò dinanzi al segnor mio, “O donna di virtù sola per cui tanto m’aggrada il tuo comandamento, Ma dimmi la cagion che non ti guardi “Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, Temer si dee di sole quelle cose I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, Donna è gentil nel ciel che si compiange Questa chiese Lucia in suo dimando Lucia, nimica di ciascun crudele, Disse: – Beatrice, loda di Dio vera, Non odi tu la pieta del suo pianto, Al mondo non fur mai persone ratte venni qua giù del mio beato scanno, Poscia che m’ebbe ragionato questo, E venni a te così com’ella volse: Dunque che è? perché, perché restai, poscia che tai tre donne benedette Quali fioretti dal notturno gelo tal mi fec’io di mia virtude stanca, «Oh pietosa colei che mi soccorse! Tu m’hai con disiderio il cor disposto Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: intrai per lo cammino alto e silvestro27. [Paradiso, canto XVII, vv. 100-142] Poi che, tacendo, si mostrò spedita io cominciai, come colui che brama, «Ben veggio, padre mio, sì come sprona per che di provedenza è buon ch’io m’armi, Giù per lo mondo sanza fine amaro, e poscia per lo ciel, di lume in lume, e s’io al vero son timido amico, La luce in che rideva il mio tesoro indi rispuose: «Coscienza fusca Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, Ché se la voce tua sarà molesta Questo tuo grido farà come vento, Però ti son mostrate in queste rote, che l’animo di quel ch’ode, non posa né per altro argomento che non paia37». [Purgatorio, canto XXIV, vv. 49-63] «Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore E io a lui: «I’ mi son un che, quando «O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo Io veggio ben come le vostre penne e qual più a gradire oltre si mette, 1 E qual è quei… cotanto tosta: E come colui che smette di volere (disvuol) ciò che voleva, e a causa di nuovi pensieri cambia intenzione (proposta), in modo tale che abbandona completamente (tutto si tolle) ciò che aveva intrapreso (dal cominciar), tale divenni (mi fec’) io in quell’oscuro pendio (costa) per cui, nella mia mente (pensando) posi termine alla (consumai la) impresa che era stata all’inizio (nel cominciar) tanto rapida (tosta). «Come se dicesse: immaginai tutto il corso dell’impresa, previdi tutti gli ostacoli che in essa avrei incontrato e solo col rendermi conto della follia della decisione e dell’azione intrapresa con tanto frettolosa baldanza, distrussi in me stesso ogni possibilità di proseguire in essa» (Sapegno). 2 S’io ho ben… quand’ombra: «Se io ho inteso bene il tuo discorso», rispose quello spirito (ombra) del magnanimo (Virgilio; l’aggettivo indica la grandezza d’animo, ed è attributo dei grandi uomini dell’antichità, indicati come «spiriti magni»; cfr. Inferno, IV, 119), la tua anima è indebolita (offesa) dalla pusillanimità (viltade, da intendere, in opposizione a “magnanimità”, come scarsa coscienza di sé e delle proprie forze); la quale molte volte (fiate) ostacola (ingombra) l’uomo, in modo che lo distoglie (rivolve) da una impresa onorevole (onrata, forma sincopata di “onorata”), come una falsa immagine (falso veder) <blocca> una bestia quando si adombra (ombra: il verbo, che forma rima equivoca con il sostantivo del v. 44, indica la reazione paurosa di alcuni animali, come i cavalli, che si fermano di fronte a un’ombra o a un’immagine che li spaventa)». 3 Da questa tema… mi dolve: «Affinché tu ti liberi (solve) da questa paura (tema), ti dirò perché sono venuto e quello che mi è stato detto (’ntesi), nel primo momento (punto) in cui (che) ho provato dolore per te (di te mi dolve)». 4 Io era tra color… la richiesi: «Io ero tra coloro che non sono né beati né dannati (che son sospesi: riferimento agli spiriti del Limbo, esclusi dalla visione di Dio perché non furono cristiani, ma non sottoposti ad alcuna punizione perché non peccarono) e mi chiamò una donna beata e bella (Beatrice), tanto che le chiesi di ordinarmi <ciò che voleva>». 5 Lucevan li occhi suoi… in una favella: «I suoi occhi splendevano più delle stelle (stella: l’uso della forma al singolare è una sineddoche), e cominciò a dirmi, in modo soave e semplice (piana, aggettivo concordato con il soggetto, ma usato in realtà con funzione avverbiale), con voce angelica, nel suo modo di parlare (favella)». Da questo momento, nel discorso diretto di Virgilio si inserisce il discorso diretto di Beatrice e l’episodio – come testimonia anche l’uso dell’aggettivo «angelica» – assume tratti tipicamente stilnovistici. 6 O anima cortese… per paura: “O nobile (cortese) anima mantovana (perifrasi per designare Virgilio, nato nei pressi di Mantova), di cui ancora nel mondo la fama dura, e durerà a lungo (lontana) quanto <durerà> il mondo, l’amico mio, e non occasionale (de la ventura, lett. della fortuna, del caso), nel pendio deserto (diserta piaggia) è talmente ostacolato (impedito sì) nel suo cammino, che si è girato indietro (volt’è) per paura”. Evidente il riferimento al primo canto [DIV1a] in cui Dante, di fronte alle tre fiere, fu «per ritornar più volte vòlto» (Inferno, I, 36). 7 e temo che… nel cielo udito: “e ho paura che (temo che non, costruzione ricalcata su quella dei verba timendi latini) sia già talmente smarrito, che io mi sia mossa (levata) <troppo> tardi per soccorrerlo, per ciò che ho udito di lui nel cielo”; Beatrice, come si vedrà dai vv. 103-108, ha «udito» della condizione di Dante dalle parole di santa Lucia. 8 Or movi… consolata: “Ora vai (movi) e, con la tua parola elegante (ornata) e con ciò che è utile (ha mestieri) alla sua salvezza (al suo campare), aiutalo in modo (sì) che io ne sia consolata”. 9 I’ son Beatrice… parlare: “Io che ti spingo ad andare sono Beatrice; vengo dal (del) luogo al quale desidero (disio) ritornare (perifrasi per indicare il Paradiso); mi ha spinto a venire qui l’amore, che mi induce a parlare”. 10 Quando sarò… comincia’ io: “Quando mi troverò davanti al mio Signore (Dio), ti loderò (di te mi loderò) spesso (sovente) presso di (a) lui”. «Allora tacque, e poi cominciai a parlare io». Dopo aver riferito a Dante le parole di Beatrice, Virgilio riporta da qui in poi la propria risposta. 11 O donna di virtù… il tuo talento: “O signora (donna, nel significato del latino domina) della virtù grazie alla quale soltanto (sola per cui) il genere umano (l’umana spezie) supera (eccede) tutto ciò che è contenuto (ogni contento) dal cielo che ha le sue rotazioni (cerchi) più piccole (minor: si riferisce al cielo della Luna, che contiene tutto il mondo materiale, e a partire dal quale comincia il Paradiso), il tuo comandamento mi è talmente gradito (m’aggrada) che l’obbedire ad esso, se anche l’avessi già fatto (se già fosse) mi apparirebbe troppo lento (m’è tardi; la frase sottolinea iperbolicamente la sollecitudine di Virgilio, impaziente di obbedire a Beatrice); non ti è più necessario nient’altro che (più non t’è uo’ ch’; «uo’» è troncamento di «uopo»; la forma deriva dal latino opus est) manifestarmi (aprirmi) la tua volontà (talento)”. Difficile stabilire con certezza in cosa vada identificata in questo contesto la «virtù» di cui Beatrice è domina. L’espressione è comunque già nella Vita nuova, dove Beatrice è detta «regina de le virtudi» (X, 2). 12 Ma dimmi la cagion… tu ardi: “Ma dimmi il motivo per cui tu non hai timore (non ti guardi) di scendere qui sotto, in questo centro <della terra> (l’Inferno), dal luogo infinito (ampio) dove desideri ardentemente (ardi) ritornare (ancora una perifrasi per indicare il Paradiso)”. Da questo momento, e fino al v. 114, Virgilio riporterà le parole di Beatrice; da notare che, all’interno del discorso di Beatrice, saranno a loro volta contenute le parole precedentemente rivoltele da santa Lucia (vv. 103-108) e quelle dette, ancor prima, dalla Madonna a Lucia (vv. 98-99). 13 Da che tu vuo’… qua entro: “Poiché tu vuoi conoscere <la cosa> tanto a fondo (cotanto a dentro), ti dirò brevemente”, mi rispose, “perché non ho paura di venire qua dentro (ossia all’Inferno)”. 14 Temer si dee… non sono paurose: “Si deve avere timore soltanto di quelle cose che hanno la capacità (potenza, termine tecnico della filosofia aristotelica) di fare a noi (altrui) del male; delle altre no, perché non sono tali da far paura (ché non sono paurose)”. 15 I’ son fatta… non m’assale: “Io sono stata fatta da Dio, per sua grazia (sua mercé), tale che la vostra miseria non mi tocca (tange) né la fiamma di codesto inferno mi intacca (non m’assale; l’avverbio di negazione «non» è pleonastico)”. 16 Donna è gentil… là sù frange: “Nel cielo c’è una donna d’animo nobile (gentil) che prova compassione (si compiange) per questa impossibilità di procedere (’mpedimento, riferito alla condizione di Dante nella selva oscura) a 17 Questa chiese Lucia… lo raccomando: “Questa (la Madonna) chiamò (chiese) Lucia con la sua autorità (in suo dimando) e disse: – Ora il tuo devoto (fedele, ossia Dante) ha bisogno di te, e io lo raccomando a te –”. La devozione di Dante per la martire siracusana Lucia era forse dovuta a una malattia agli occhi di cui si parla nel Convivio (infatti Lucia è venerata come protettrice della vista). 18 Lucia, nimica… con l’antica Rachele: “Lucia, nemica di ogni cudeltà (crudele è forma neutra sostantivata dell’aggettivo) si mosse e venne al luogo dove mi trovavo io, che sedevo con l’antica Rachele”. Rachele, moglie di Giacobbe, rappresentava per i medievali la vita contemplativa. 19 Disse: – Beatrice… non ha vanto: “<Lucia> disse: – O Beatrice, <creatura> lodando la quale si loda veramente Dio (loda di Dio vera [G13b]), perché non soccorri colui che ti amò tanto che, a causa tua, si distinse dal volgo (volgare schiera)? Non senti tu forse l’angoscia (pieta) del suo pianto? Non vedi tu forse la morte (ossia la dannazione dell’anima) che cerca di vincerlo (’l combatte), sul fiume sul quale il mare non prevale (non ha vanto)?”. La metafora della fiumana e del mare – che certamente allude alla condizione disperata di Dante personaggio – ha dato luogo a una questione interpretativa che non può essere analizzata in questo approfondimento. Si conclude con queste parole il discorso di Lucia a Beatrice; nei versi che seguono, Beatrice continuerà a rivolgersi a Virgilio. 20 Al mondo non fur mai… l’hanno: “Al mondo non vi furono mai persone veloci (ratte) a fare una cosa utile a sé (lor pro) o a sfuggire a un pericolo (lor danno) quanto io, una volta pronunciate <da Lucia> queste parole (dopo cotai parole fatte) discesi quà giù (all’Inferno) dal mio seggio in Paradiso (beato scanno), fidandomi della tua dignitosa eloquenza (parlare onesto) che onora te e coloro che l’hanno udita”. Si conclude qui il discorso di Beatrice e riprende la narrazione dei fatti da parte di Virgilio. 21 Poscia che m’ebbe… più presto: «Dopo che mi ebbe detto (ragionato) questo, rivolse <verso di me> gli occhi lucenti e lacrimanti (lacrimando, gerundio con funzione di participio presente), per cui (per che) mi rese <ancora> più pronto (presto) nel (del) venire». 22 E venni a te… ti tolse: «E venni da te, così come ella volle (volse, forma toscana, in rima equivoca con il v. 116); ti allontanai (levai) dal cospetto di (dinanzi a) quella fiera (la lupa) che ti impedì (tolse) la rapida salita (corto andar) del bel monte (il colle di cui si parla nel I canto dell’Inferno)». 23 Dunque che è… ti promette: «Dunque che succede? Perché, perché esiti (restai)? Perché accogli (allette) nel cuore tanta pusillanimità (viltà)? Perché non hai coraggio (ardire) e sicurezza (franchezza), dato che tali tre donne benedette hanno cura di te nel Paradiso (ne la corte del cielo) e le mie parole (riferimento a Inferno, I, vv. 112-129 [DIV1a]) ti promettono tanto bene?». Si conclude con questi incalzanti interrogativi il lungo discorso di Virgilio. 24 Quali fioretti… come persona franca: Come i fiori, resi avvizziti (chinati) e costretti a chiudersi dal gelo della notte, quando il sole li illumina (’mbianca) si alzano (drizzan) tutti aperti nel loro stelo, tale divenni io quanto alla mia forza di volontà (virtude) <fino ad allora> debole (stanca), e tanto buon coraggio (ardire) mi giunse al cuore che cominciai, come una persona sicura (franca; cfr. v. 123). 25 Oh pietosa… porse: «Oh caritatevole (pietosa) colei che mi soccorse! E nobile d’animo (cortese) tu che obbedisti subito (tosto) alle parole ispirate alla verità che lei ti rivolse (porse)!». 26 Tu m’hai con disiderio… primo proposto: «Tu, con le tue parole, mi hai disposto talmente il cuore al desiderio di questo viaggio (del venire) che io sono tornato nel proposito iniziale (primo proposto)». I dubbi di Dante sono stati definitivamente dissolti. 27 Or va… alto e silvestro: «Ora vai avanti, perché una volontà comune (un sol volere) c’è in entrambi; tu sarai guida (duca), tu signore e tu maestro». Così gli dissi, e dopo che si fu avviato (mosso fue; l’ausiliare presenta epitesi) entrai per il cammino arduo (alto) e selvaggio (silvestro). 28 Poi che, tacendo… e ama: Dopo che, tacendo, l’anima santa <di Cacciaguida> si mostrò libera dalla preoccupazione (spedita, latinismo da expeditus che significa libero, sciolto) di mettere la trama in quella tela di cui io gli avevo porto l’ordito (cioè di completare le mie conoscenze sul futuro, così come un tessuto viene completato sovrapponendo la trama all’ordito), io cominciai <a parlare> come chi, avendo timore (dubitando) desidera (brama) un consiglio da una persona che ha conoscenza e volontà e amore improntati alla rettitudine (dirittamente: l’avverbio si riferisce ai verbi «vede», «vuol» e «ama»). 29 Ben veggio… per miei carmi: Io vedo bene, o mio antenato (padre), come il tempo corre in modo ostile (sprona, lett. corre a cavallo) contro di me, per infliggermi un colpo tale, che è più terribile (grave) per chi meno sa resistere (più s’abbandona); per cui è bene (buon) che io mi armi di prudenza (provedenza), in modo che, se mi verrà tolto il luogo più caro (Firenze), io non perda anche altri luoghi a causa dei miei versi (carmi)». Dante teme che la sua poesia ispirata alla verità possa alienargli il favore di persone che potrebbero ospitarlo. 30 Giù per lo mondo… forte agrume: «Giù nel mondo amaro senza fine (l’Inferno) e attraverso il monte (del Purgatorio) dalla cui bella cima (cacume, latinismo) mi sollevarono gli occhi della mia donna, e poi attraverso il cielo, di pianeta in pianeta (di lume in lume), io ho appreso ciò che, se io lo ripeto, avrà per molti un sapore molto aspro (di forte agrume)». Nel medioevo si indicavano con “agrume” gli ortaggi di sapore forte e acuto, come ad esempio l’aglio o la cipolla. 31 e s’io al vero… chiameranno antico: «e <d’altra parte> se io dimostro di amare poco la verità (al vero son timido amico), temo di perdere la fama (viver, infinito sostantivato, nel senso di sopravvivenza nel ricordo) tra coloro che chiameranno il mio (questo) tempo “antico”» (perifrasi per designare i posteri). 32 La luce… specchio d’oro: La luce di cui risplendeva (rideva) il mio bene prezioso (tesoro; nei canti XV-XVII Cacciaguida è più volte designato come «gemma» o «topazio») che io avevo trovato in quel cielo (lì) divenne dapprima lampeggiante (corusca) come uno specchio dorato esposto a un raggio di sole. Allegoricamente, il «raggio di sole» può indicare l’amore di Dio e lo «specchio d’oro» l’amore del beato in cui esso si riflette. 33 indi rispuose… parola brusca: quindi rispose: «Una coscienza sporca (fusca), per vergogna delle azioni proprie o di quelle di persone vicine (altrui), certamente (pur) considererà (sentirà) la tua parola troppo aspra (brusca, complemento predicativo dell’oggetto)». 34 Ma nondimen… dov’è la rogna: «Ma nonostante ciò, tolta di mezzo ogni finzione (menzogna), rendi evidente (fa manifesta) tutta la tua visione; e lascia pure che chi ha la rogna si gratti (metafora che si può rendere come lascia che chi ha la coscienza sporca si dispiaccia pure della tua opera)». Il verso costituisce un’imprevista, e perciò ancor più efficace, escursione verso il registro comico. Questi abbandoni temporanei della solennità di tono propria della cantica non sono rari nel Paradiso; si veda, ad esempio, l’invettiva di san Pietro contro la Chiesa corrotta [DIV9b]. 35 Ché se la voce… quando sarà digesta: «Poiché, se la tua parola (voce) al primo assaggio (gusto) sarà sgradita (molesta), poi, quando sarà ben digerita (digesta) lascerà un nutrimento vitale». La metafora significa che la verità, anche se scomoda, va sempre detta perché da essa non può nascere che il bene. 36 Questo tuo grido… poco argomento: «Questa tua coraggiosa poesia (grido) farà come il vento, che percuore più intensamente le cime più alte <degli alberi> (metaforicamente identificate con gli uomini più potenti), e ciò (ossia il coraggio di parlare in faccia ai potenti) è un motivo (argomento) non piccolo di onore». La designazione della poesia come «grido» sembra richiamare l’espressione «vox clamantis in deserto» [«voce di colui che grida nel deserto»] con cui gli evangelisti si riferiscono a san Giovanni Battista (Matteo, III, 3; Marco, I, 3; Luca, III, 4; Giovanni, I, 23). 37 Però ti son mostrate… che non paia: «Ti sono state mostrate in questi cieli (rote), nel monte (il Purgatorio) e nell’abisso (valle) doloroso (l’Inferno) soltanto (pur) le anime che sono note per la loro fama, proprio per questo (Però, in funzione prolettica), che l’animo dell’ascoltatore (di quel ch’ode, perifrasi) non si appaga (non posa) né si lascia convincere (presta fede) da un esempio che abbia un fondamento storico (radice) poco noto (incognita) o nascosto, né da altro argomento che non sia evidente (non paia)». 38 Ma dì s’i’ veggio… d’amore: «Ma dimmi se io vedo <veramente> qui colui che creò (fore trasse, lett. tirò fuori) il nuovo stile poetico (le nove rime) cominciando <la canzone> “Donne ch’avete intelletto d’amore”». Bonagiunta crede di riconoscere Dante e, per accertarsene, gli chiede se colui che ha davanti sia proprio l’autore di quella canzone con cui, nella Vita nuova, si dà inizio alla poetica della lode [G8b]. 39 E io a lui… vo significando: Ed io <risposi> a lui: «Io sono uno (mi son un; il pronome personale «mi» è pleonastico) che, quando Amore mi ispira, scrivo (noto), e vado esprimendomi (significando) a quel modo che egli interiormente mi impone (ch’e’ ditta dentro)». 40 O frate, issa vegg’io… ch’i’ odo: «O fratello, adesso (issa) io vedo», disse egli, «l’impedimento (il nodo) che trattenne Jacopo da Lentini (’l Notaro) e Guittone e me al di qua del dolce stil novo di cui <ti> sento <parlare>!». I rimatori qui citati sono il siciliano Jacopo da Lentini detto il Notaro e il siculo-toscano Guittone d’Arezzo, caposcuola della corrente cui appartenne lo stesso Bonagiunta. 41 Io veggio ben… certo non avvenne: «Io vedo bene come la vostra scrittura poetica (le vostre penne, metonimia) segue da vicino (sen vanno strette) colui che le ispira (di retro al dittator, cioè Amore), cosa che certo non avvenne della nostra». La assoluta fedeltà ad Amore appare dunque come l’elemento distintivo del «dolce stil novo». 42 e qual più… si tacette: «e chiunque si mette a procedere (gradir) oltre <alla ricerca di altre differenze> non distingue più (non vede più) tra l’uno e l’altro stile». E, quasi appagato, tacque. 43 Però, in pro… fa che tu scrive: Perciò (Però), per il bene (in pro) del mondo che vive nel peccato (che mal vive), ora tieni gli occhi al carro e, una volta ritornato in terra (di là) fa’ in modo di scrivere quello che vedi <qui> (Purgatorio XXXII, vv. 103-105). IL TESTO IL PROBLEMA Si potrebbe osservare, a sostegno di quest’ultima tesi, che l’ispirazione divina che accomuna poeti e profeti è stata secondo Dante concessa ai grandi poeti precristiani [DIV2a] i quali non avrebbero potuto altrimenti prevedere la nascita di Cristo alcuni decenni prima che essa avvenisse [DIV2b]. Ma l’osservazione, se schiude la giusta prospettiva sull’orizzonte di pensiero in cui va collocata l’opera dantesca (evidenziando quantomeno la possibilità che poesia e profezia siano in esso davvero accomunate), non risponde ancora alla domanda fondamentale: Dante era davvero convinto che la Commedia fosse un poema ispirato da Dio? La questione ha implicazioni di intuibile importanza e si collega tra l’altro strettamente al problema della vera natura dell’allegoria dantesca. Richiamiamo quindi, per provare a rispondere, le considerazioni che abbiamo già svolto trattando tale questione; considerazioni che proveremo a integrare discutendo il brano del Purgatorio inserito nel presente approfondimento. 1 Nicolò Mineo, Dante, in Letteratura italiana Laterza, diretta da Carlo Muscetta, Bari, Laterza, 1980, pp. 184-186. 2 Ivi, p. 163 3 Ivi, pp. 195-196. |
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