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[De monarchia, III, cap. 15] […] 7. Dunque l’ineffabile Provvidenza1 indicò all’uomo due fini da perseguire: e cioè la felicità di questa vita, che consiste nella realizzazione della potenzialità propria dell’uomo2, ed è raffigurata nel paradiso terrestre; e la felicità della vita eterna, che consiste nel godimento della visione di Dio, cui la potenzialità propria dell’uomo non può arrivare se non è aiutata dalla luce divina, e che è raffigurata nel paradiso celeste. 8. A queste due forme di felicità, come a obiettivi diversi, è necessario giungere attraverso mezzi diversi. Infatti giungiamo alla prima3 per mezzo degli insegnamenti filosofici, purché li seguiamo operando secondo le virtù morali e intellettuali; e alla seconda4 giungiamo attraverso gli insegnamenti spirituali che trascendono l’umana ragione, purché li seguiamo operando secondo le virtù teologali, cioè fede, speranza e carità. 9. A questi fini e a questi mezzi – benché ci siano stati mostrati, i primi dall’umana ragione che tutta ci è stata spiegata dai filosofi, e i secondi dallo Spirito Santo che rivelò la verità soprannaturale e a noi necessaria attraverso i profeti e gli agiografi5, attraverso Gesù Cristo figlio di Dio a lui coeterno6 – la cupidigia umana volterebbe le spalle se gli uomini, simili a cavalli che vagano nella loro bestialità, non fossero trattenuti nel loro viaggio “con morso e briglie”7. 10. Per cui fu necessaria all’uomo una duplice guida, in relazione al duplice fine; e cioè il Sommo Pontefice, che conducesse il genere umano alla vita eterna secondo la Rivelazione, e l’Imperatore, che dirigesse il genere umano alla felicità temporale secondo gli insegnamenti della filosofia. 11. E poiché a questo porto non può pervenire nessuno – o possono farlo in pochi, e questi pochi con estrema difficoltà – se il genere umano, calmati i flutti della seducente cupidigia, non riposa libero nella tranquillità della pace8, ecco qual è lo scopo al quale sopra ogni altro deve tendere colui che ha cura del mondo, che è chiamato Principe romano9: e cioè che in questa aiuola dei mortali10 si viva liberamente in pace. 12. E, poiché l’ordinamento di questo mondo segue l’ordinamento risultante dalla rotazione delle sfere celesti11, è necessario, affinché gli utili insegnamenti della libertà e della pace siano applicati adeguatamente ai luoghi e ai tempi, che colui che deve averne cura12 sia ispirato da Colui che ha presente al suo sguardo l’intera disposizione dei cieli13. E questi può essere solo Colui che preordinò tale disposizione, provvedendo Egli stesso affinché, attraverso di essa, ogni cosa fosse stabilmente collocata al posto che le spetta14. 13. Perciò, se così stanno le cose, solo Dio elegge15, solo Dio conferma, perché non c’è nessuno al di sopra di lui. Da ciò si può ancora dedurre che, né questi che ora sono detti “elettori”16, né gli altri che in qualunque modo furono detti così, debbano essere chiamati in questo modo: che piuttosto devono esser considerati “annunciatori della divina provvidenza17”. 14. Per cui avviene che ogni tanto abbia luogo un dissenso tra quanti sono stati investiti del compito di annunciarla, perché tutti, o alcuni di essi, ottenebrati dalla nebbia della cupidigia, non discernono l’aspetto della divina disposizione18. 15. Così dunque è evidente che l’autorità del Monarca temporale discende, senza alcun intermediario19, dal Fonte dell’autorità universale20: il quale Fonte, indivisibile nella rocca della sua semplicità, scorre in molteplici fiumi per abbondanza di bontà21. 16. E già ritengo di aver raggiunto la meta prefissata. Si è infatti giunti alla verità intorno all’interrogativo se l’ufficio del Monarca fosse necessario per il bene del mondo22; intorno all’interrogativo se il popolo romano si sia attribuito l’impero a buon diritto23; e infine intorno all’interrogativo se l’autorità del Monarca discenda direttamente da Dio o da un altro soggetto24. 17. Ma questa verità sull’ultima questione non va intesa in modo forzato, concludendo che il Principe romano non sia in nulla soggetto al romano Pontefice, giacché questa felicità mortale è in qualche modo finalizzata alla felicità eterna25. 18. Abbia dunque Cesare verso Pietro26 quella reverenza che il figlio primogenito deve avere verso il padre: affinché, illuminato dalla luce della paterna grazia, illumini con maggiore efficacia la terra, alla quale è stato preposto da Colui solo che è guida di tutte le cose spirituali e temporali. 1 l’ineffabile Provvidenza: la Provvidenza, i cui disegni non possono essere compresi e descritti dall’uomo. 2 nella realizzazione della potenzialità propria dell’uomo: come è spiegato in Monarchia, I, 3-4, l’umanità ha un fine specifico, che la differenzia da tutte le altre specie create, e che consiste nella realizzazione dell’“intelletto possibile”, ossia nella conoscenza intellettuale (che è nell’uomo allo stato di potenza, e deve essere tradotta in atto). 3 alla prima: alla felicità terrena. 4 alla seconda: alla felicità della vita eterna. 5 agiografi: sono propriamente gli autori delle vite dei Santi; ma il termine può indicare, più in generale, gli scrittori di cose sacre. 6 a lui coeterno: eterno come il Padre. 7 “con morso e briglie”: “in camo et freno” (Salmo 31, 9). 8 della tranquillità della pace: come è spiegato in Monarchia, I, 3-4, l’attuazione dell’intelletto possibile, fine specifico dell’umanità (cfr. nota ), richiede come condizione necessaria la pace universale. 9 colui che ha cura… Romano: perifrasi per designare l’imperatore. 10 aiuola dei mortali: metafora per indicare la Terra. 11 poiché l’ordinamento… sfere celesti: poiché l’ordine del mondo riflette l’ordine determinato dalla rotazione delle sfere celesti. Era credenza comune, nel Medioevo, che l’esistenza umana subisse gli influssi degli astri, che si credeva ruotassero intorno alla terra, disposti in nove cieli concentrici. 12 colui che deve averne cura: colui che deve procurare agli uomini la libertà e la pace; perifrasi per designare l’imperatore. 13 Colui che ha presente… dei cieli: perifrasi per designare Dio. 14 E questi può essere… che le spetta: E questi può essere soltanto Colui che predispose (preordinò) questo meccanismo dei cieli (tale disposizione), facendo in modo Egli stesso che, in seguito all’influsso celeste (attraverso di essa) ogni cosa <del mondo> fosse collocata al posto adatto. Altra perifrasi per indicare Dio, che ha disposto l’universo in modo provvidenziale, regolando l’ordine del mondo attraverso gli influssi astrali. 15 solo Dio elegge: solo Dio sceglie <l’imperatore>. 16 elettori: nel Sacro Romano Impero tedesco i principi eleggevano l’imperatore. 17 annunciatori della divina provvidenza: i cosiddetti principi elettori, se svolgono rettamente il loro compito, non sono altro che tramiti della volontà provvidenziale di Dio. 18 perché tutti… della divina disposizione: i contrasti che sorgono intorno alla scelta dell’imperatore non sono visti da Dante come legittimi scontri di opinioni, ma come il discostarsi – da parte di tutti gli “elettori”, o almeno di alcuni – dalla volontà divina, e come cedimento alla cupidigia. 19 senza alcun intermediario: immediatamente. La precisazione sottolinea l’illegittimità della pretesa del Papato di subordinare a sé l’Impero. 20 Fonte dell’autorità universale: altra perifrasi (nonché metafora) per designare Dio. 21 il quale Fonte… bontà: l’autorità di Dio è unica e indivisibile, ma da essa discendono diverse forme di autorità terrena, allo stesso modo che l’acqua che scaturisce da un’unica fonte può diramarsi in diversi fiumi. 22 alla verità… bene del mondo: era questo l’argomento del Libro I; la risposta a questo interrogativo è naturalmente affermativa. 23 intorno… a buon diritto: era questo l’argomento del Libro II; anche a questa domanda si risponde affermativamente. 24 e infine… da un altro soggetto: la questione dell’autonomia dell’Impero dal Papato è stata trattata nel Libro III [G34]. 25 giacché… finalità eterna: Dante ammette la preminenza della felicità eterna su quella terrena; non ne deduce tuttavia una subordinazione del potere temporale a quello spirituale, quanto piuttosto l’esigenza di un rispettoso coordinamento tra questi due poteri, entrambi ispirati direttamente da Dio. 26 Cesare verso Pietro: l’imperatore verso il papa; antonomasia. Il capitolo conclusivo del De monarchia illustra, con geometrica esattezza, il parallelismo tra i due poteri di cui l’intero terzo libro ha fin qui dimostrato la reciproca indipendenza. La pagina si sostiene retoricamente sull’uso di figure come la perifrasi, la metafora, l’antonomasia. Ma essa è sorretta da un’ossatura logica semplicissima, volta a dimostrare la necessità di due poteri collocati da Dio su un piano di sostanziale parità, in nome di quella esigenza di equilibrio tra sfera mondana e sfera spirituale che costituisce uno dei motivi ispiratori dell’opera dantesca. Tale ossatura logica trova il suo corrispondente stilistico nei parallelismi con i quali la trattazione è condotta. In parallelo, ad esempio, vengono presentati i due fini che la provvidenza ha proposto all’uomo [7]; un altro parallelismo si riscontra nell’elencazione dei mezzi con cui tali fini possono essere perseguiti [8]”. E gli esempi potrebbero continuare. Le prerogative di Papato e Impero vengono schierate le une di fronte alle altre e disposte sullo stesso piano, senza consentire (se non, entro certi limiti, nell’ultimo capoverso) alcuna affermazione di supremazia dell’uno sull’altro. In definitiva, l’impianto logico di questo capitolo abbandona la tradizionale forma verticale della catena sillogistica [G34] per distendersi su un piano orizzontale, che consente al lettore una facile e ordinata schematizzazione. Ciascuna delle due istituzioni universali presiede a una diversa finalità. La Provvidenza ne ha indicate all’uomo due; ciascuna di esse è raffigurata sotto una diversa immagine del paradiso [7], deve essere perseguita attraverso mezzi diversi, richiede l’esercizio di virtù diverse [8], ci è stata illustrata da diversi maestri [9], si può raggiungere affidandosi a diverse guide [10]:
La distinzione di questi due tipi di felicità ha le sue radici in Aristotele: l’uomo, sulla terra, deve realizzare quella potenzialità che gli è propria e che lo distingue da tutti gli altri esseri [7]; deve, in altre parole, tradurre in atto la sua capacità di conoscenza intellettuale (in termini filosofici si parla di realizzazione dell’intelletto possibile). A questa finalità, la più elevata che sia raggiungibile nel mondo terreno, se ne affianca una seconda, più alta e compiuta: la visione di Dio nel regno dei cieli [7]. Pur essendo provvidenzialmente orientato verso questa duplice felicità, l’uomo tende a lasciarsene distogliere dalla cupidigia. Ed è appunto alla necessità di contrastare tale tendenza, che è destinata a sviare il cammino dell’umanità distogliendola dalla retta via [9-11], che si deve la provvidenziale presenza di due guide: il papa e l’imperatore. Si può notare come il tema della cupidigia rivesta un’importanza fondamentale nell’opera di Dante; nella Divina Commedia questa tendenza peccaminosa, rappresentata allegoricamente dalla lupa, impedirà al pellegrino l’ascesa diretta alla salvezza, costringendolo a intraprendere il profetico viaggio lungo i regni dell’Oltretomba (Inferno, I, vv. 91-99). Pur nella comune finalità di guidare gli uomini alla virtù e di sottrarli alla cupidigia, l’ufficio del pontefice e quello dell’imperatore sono nettamente differenziati. Compito proprio dell’imperatore, in particolare, è quello di garantire al mondo la pace [11]. Il perseguimento di tale finalità è strettamente connesso con la stessa dimensione universale del suo potere, la quale del resto – impedendogli di poterne desiderare un accrescimento – lo protegge dalla cupidigia e lo mette in condizione di poterla combattere. L’eliminazione dei conflitti su scala mondiale, inoltre, serve a creare le condizioni affinché gli uomini possano coltivare la propria inclinazione alla conoscenza intellettuale. La decisiva importanza della funzione dell’Imperatore richiede che egli risponda dei suoi atti direttamente a Dio, senza la mediazione di altri poteri [15]. Poiché infatti l’ordinamento del mondo riflette quello delle sfere celesti, solo Colui che conosce – per averlo creato – tale soprannaturale ordinamento, può rettamente ispirare la guida cui è demandato l’esercizio del potere temporale [12]. Ciò significa che l’imperatore, in realtà, non viene scelto da coloro che formalmente partecipano alla sua elezione. Essi sono infatti semplici portavoce della volontà di Dio [13]. Tuttavia può accadere che questi uomini, cedendo all’influsso della cupidigia, tradiscano il proprio mandato, ispirando le loro scelte a finalità particolari anziché ai fini universali voluti dalla Provvidenza [14]. A questo punto Dante può tirare le somme del proprio trattato, riepilogandone brevemente le acquisizioni fondamentali [16]. Non sarebbe difficile, da un punto di vista storico, dimostrare quanto fosse anacronistica questa fedeltà di Dante a un principio di universalismo incarnato da un istituto, l’Impero, la cui crisi era nel Trecento ormai irrimediabile. Ma bisogna ricordare che, se è vero che la trattazione della Monarchia si fonda su un’utopia, senza quest’utopia non sarebbe stata possibile nemmeno la Divina Commedia. La conclusione del trattato, dopo una così puntuale dimostrazione della necessità di distinguere il potere temporale da quello spirituale, potrebbe apparire contraddittoria. Ma l’affermazione secondo cui Cesare deve avere verso Pietro “quella reverenza che il figlio primogenito deve avere verso il padre” [18] non è una tardiva concessione alle tesi temporalistiche (che avevano trovato la loro consacrazione nella bolla Unam Sanctam vergata nel 1302 da Bonifacio VIII). Essa appare, invece, come un’affermazione della necessità di un coordinamento dei due poteri. Un coordinamento da attuarsi, ovviamente, nella consapevolezza della prevalenza della felicità eterna su quella temporale [17]; ma sempre nell’osservanza del principio della pace e nel rispetto, rigoroso, delle prerogative di ciascuna delle due istituzioni. |
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