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[De vulgari eloquentia, II, cap. 4] […] 4. Anzitutto diciamo che ciascuno deve proporzionare il peso della materia alla capacità delle proprie spalle, affinché non gli capiti di dover cadere nel fango per aver sforzato le spalle con un peso eccessivo1: è questo ciò che ci insegna il nostro maestro Orazio, quando, nel principio della Poetica, dice «Sumite materiam2». 5. Poi, rispetto agli argomenti che abbiamo davanti, dobbiamo usare il discernimento, per capire se occorra cantarli in forma tragica, o comica, o elegiaca. Indichiamo con tragedia lo stile superiore, con commedia quello inferiore, con elegia intendiamo lo stile degli infelici3. 6. Se ci sembra che l’argomento vada cantato in stile tragico, allora bisogna prendere il volgare illustre4, e di conseguenza comporre una canzone5. Se invece lo stile è comico, si prenda a volte un volgare mezzano e a volte un volgare umile6: e sulla scelta di esso ci riserviamo di discutere nel quarto libro di quest’opera7. Se poi lo stile è elegiaco, è necessario prendere solo il volgare umile. 1 Anzitutto diciamo… eccessivo: Anzitutto diciamo che ogni poeta deve trattare un argomento adeguato alle proprie capacità, affinché non gli capiti di fallire per l’inadeguatezza delle proprie forze. 2 Sumite materiam: «Sumite materiam vestris, qui scribitis, aequam / viribus» [«Prendete una materia adatta alle vostre forze, o voi che scrivete»]; il riferimento è ad Ars poetica, vv. 38-39. 3 Intendiamo… degli infelici: la distinzione tra tragedia e commedia è basata su una gradazione quantitativa (la maggiore o minore altezza dello stile). L’elegia, invece, è qui definita in base alla qualità del tema trattato (l’amore infelice). 4 il volgare illustre: secondo il principio del conveniens [G31], il volgare illustre si addice solo agli argomenti più elevati. 5 una canzone: la forma della canzone è ritenuta da Dante la più eccellente, e quindi la più degna di trattare argomenti elevati in volgare illustre. 6 se lo stile è comico… un volgare umile: lo stile «comico» richiede una lingua composita, di livello a volte medio e a volte basso. 7 nel quarto libro di quest’opera: Dante progettava un trattato di lunghezza maggiore rispetto ai due libri (di cui il secondo incompiuto) che ci sono giunti. Questo breve passo del secondo libro del De vulgari eloquentia rappresenta un’applicazione del principio del conveniens [G31], secondo il quale non esiste uno stile letterario valido per ogni opera: lo stile, infatti, deve sempre adattarsi alla materia. Il tema trattato è tradizionale. Sulla base di testi teorici classici (il De oratore di Cicerone, la Rhetorica ad Herennium) i medievali distinguevano uno stile sommo (gravis), uno medio (mediocris), uno umile (humilis). A questa tripartizione Dante sovrappone tre diversi generi poetici – tragedia, commedia ed elegia – che vanno peraltro intesi con un’accezione diversa da quella moderna (ad esempio il termine tragedia è applicabile a tutte le opere stilisticamente più solenni, e non solo a quelle teatrali). Dalla conclusione del passo che abbiamo riportato (che costituisce la parte centrale del capitolo 4) si comprende come il termine tragedia indichi lo stile più elevato, il termine commedia quello di mezzo e il termine elegia designi lo stile più umile. Il testo, però, presenta qualche problema di interpretazione. Mentre non c’è dubbio sulla collocazione della tragedia al grado più alto, il genere comico, che dapprima sembra presentato come il più umile [5], viene poi collocato in posizione mediana [6]. E del resto in molti trattati medievali lo stile comico è considerato il più basso, e l’elegia occupa un grado intermedio. Il problema è complicato dal fatto che la collocazione dell’elegia non viene subito chiarita fino in fondo, perché questo genere viene designata contenutisticamente come quello proprio «degli infelici», sulla base dunque di una considerazione estranea al criterio classificatorio. Nondimeno, la conclusione del passo non sembra lasciare dubbi. E la difficoltà interpretativa potrebbe essere superata ipotizzando che, nel passo in cui la commedia viene presentata come genere «inferiore» [5], Dante si riferisca solo alla sua inferiorità rispetto alla tragedia. Rimane da chiarire la ragione per cui il genere elegiaco, che tratta principalmente di amori infelici, sia da Dante considerato stilisticamente inferiore a quello comico. Sulla classificazione seguita da Dante può avere influito un’opera assai conosciuta all’epoca, la Poetria di Giovanni da Garlandia, il quale classificava tre opere virgiliane in base allo stile: l’Eneide utilizzava lo stile più serio ed elevato (gravis); le Georgiche (poema didascalico) occupavano una posizione intermedia; e al grado più basso stavano le Bucoliche, considerate appunto elegie. Ma anche quest’ipotesi non risolve del tutto il problema, dato che da questa classificazione delle opere virgiliane risulta assente il genere comico. E ancora: nell’Epistola a Cangrande Dante, spiegando le ragioni per cui ha intitolato il proprio capolavoro Commedia, afferma che, in questo genere, si scrive con uno stile dimesso e umile (remisse et humiliter: il poeta, evidentemente, si riferisce soprattutto all’Inferno). E però, l’autenticità dell’Epistola a Cangrande è stata discussa da alcuni studiosi. Come si vede non è facile arrivare a una soluzione univoca del problema. Abbiamo tuttavia ritenuto opportuno segnalarlo, anche per dare un’idea della complessità del lavoro interpretativo che si incentra sui testi letterari. |
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