Giovanni Boccaccio
I2 - Toccami ’l viso zefiro tal volta
Rime, XLII

Toccami ’l viso zefiro tal volta
più che l’usato alquanto impetuoso,
quasi se stesso allora avesse schiuso
dal cuoi’ d’Ulisse, e la catena sciolta1.

E poi che l’alma tutt’ha in sé raccolta, 5
par ch’e’ mi dica: «Leva il volto suso;
mira la gioia ch’io, da Baia effuso,
ti porto in questa nuvola rinvolta2».

Io lievo gli occhi, e parmi tanto bella
veder madonna entr’a quell’aura starse, 10
che ’l cor vien men sol nel maravigliarse3.

E, com’io veggio lei più presso farse,
lievomi per pigliarla e per tenélla:
e ’l vento fugge, ed essa spare in quella4.


1 Toccami… sciolta: Zefiro (il vento d’Occidente che annuncia la primavera) tal volta mi tocca il viso, in modo un po’ (alquanto) più impetuoso del solito (più che l’usato), come se si fosse liberato (se stesso avesse schiuso) da poco (allora) dalla bisaccia (cuoi’, sineddoche) di Ulisse, e <ne avesse> sciolta la cinghia. In Odissea, X, si racconta che Eolo aveva regalato ad Ulisse una bisaccia di cuoio in cui erano rinchiusi tutti i venti, per facilitargli il ritorno a casa. Il solo Zefiro spirava sulla nave dei Greci quando i compagni di Ulisse aprirono la bisaccia; ma allora ne fuoriuscirono tutti i venti, causando una tempesta di violenza inaudita.

2 E poi… rinvolta: E dopo che ha attratto verso di sé (in sé raccolta) tutta l’anima, par che mi voglia dire (dica): «Solleva il volto in su (suso); osserva la donna (gioia, metonimia) che io, uscito (effuso) da Baia, ti porto ravvolta in questa nuvola». Baia era una località marina sul golfo di Pozzuoli, celebrata dai poeti latini (cfr. Marziale, Epig. I, v. 61; Ovidio, Ars Amatoria, I, vv. 255-258) e meta prediletta anche al tempo di Boccaccio dei nobili napoletani e della stessa Fiammetta. Nei confronti della vita di Baia Boccaccio, in altre opere, esprime un sentimento a volte di condanna morale, altre volte di ammirazione (in particolare, Filocolo, III, 33, 8; Rime, LX, LXI, LXV, LXXII; Comedia delle Ninfe Fiorentine, XXIX; Elegia di Madonna Fiammetta, V).

3 Io levo… maravigliarse: Io alzo gli occhi, e mi sembra di vedere che ci sia (starse) dentro quell’aria la mia donna (madonna, dal latino mea domina), tanto bella che il cuore viene meno per la meraviglia. La descrizione dell’innamoramento del poeta sembra seguire i canoni dello Stilnovo.

4 E, come… quella: E, non appena (come) la vedo avvicinarsi (più presso farse), mi sollevo per prenderla e trattenerla: ma il vento cessa, ed ella scompare in quell’istante (spare in quella).


I2 - Analisi del testo
Livello metrico
Sonetto con rime incrociate nelle quartine e due rime rinterzate nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA; CDD, DCC. Ai vv. 2 e 3 è presente una rima siciliana («impetuoso» : «schiuso»).

Livello lessicale, sintattico, stilistico
Il lessico del sonetto è quello della tradizione stilnovistica, di cui si riprendono i vocaboli legati all’apparizione della donna amata («mira», v. 7; «parmi», v. 9, «maravigliarse», v.11; «veggio», v.12), spesso connessi al campo semantico della visione e del sogno. La prima quartina è strutturata in un unico periodo ipotattico in cui il soggetto è posposto, secondo una costruzione latina. La seconda quartina è incentrata su un discorso diretto in cui parla il vento personificato. Nelle terzine è il poeta a narrare le sensazioni provate alla vista della donna. Le proposizioni sono brevi, scandite dalla congiunzione «e» che si ripete quasi a voler fermare l’attimo dell’apparizione e a dare la sensazione dell’incalzare del tempo («io levo gli occhi, e parmi…», v. 9; «E, com’io veggio», v. 10; «e ’l vento fugge, ed essa spare», v. 14). L’ultimo verso richiama il sonetto petrarchesco La vita fugge, e non s’arresta un’ora [H43].

Livello tematico
Il sonetto è articolato sul tradizionale tema del risveglio primaverile della natura e della presenza della donna, qui identificabile con Fiammetta. Protagonista del sonetto è il vento Zefiro che in primavera ridesta l’amore (e che è sempre associato, secondo il canone classico, all’idea della vegetazione che rifiorisce e germoglia dopo il gelo invernale). Boccaccio arricchisce la trama dei richiami mitologici mediante un riferimento diretto all’epica («dal cuoi’ d’Ulisse», v. 4). Successivamente il poeta definisce con precisione il luogo in cui si trova la figura femminile protagonista dell’apparizione: essa viene da Baia, luogo di villeggiatura e di divertimento frequentato dall’autore durante il periodo napoletano. Da qui esce una nuvola sospinta dal vento Zefiro, il quale dialoga direttamente con il poeta (come fa Amore nella seconda apparizione di Beatrice, narrata da Dante nella Vita nuova [G3a]). La donna («gioia», v. 7) appare avvolta in una nuvola, così come Beatrice appariva circondata da una «nebula di colore di fuoco»; l’apparizione desta stupore («maravigliarse», v. 11), ma la situazione, in questo caso, non presenta i risvolti drammatici del modello dantesco. Nell’ultima terzina si narra la fine del sogno: il poeta tenta di trattenere a sé la donna, ma il vento fugge portandola con sé. Nulla a che vedere, ancora una volta, con i modelli che Boccaccio consapevolmente tiene presenti ed evoca: non c’è qui né la drammaticità del sogno dantesco né la tristezza che colma il cuore di Petrarca al sopraggiungere Zefiro [H46]. Il poeta è ben cosciente che l’apparizione è stata solo un sogno e che il sogno è per definizione caduco. Ma la sua è la concreta disillusione di un amante completamente radicato nel mondo terreno, e comprensibilmente dispiaciuto di non aver potuto “pigliare” e “tenere” la sua donna.