ANONIMO
B17 - L’iscrizione di san Clemente
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Sisinnium
Fili1 de le pute2, traite3!
Gosmari4, Albertel5, traite!
Falite dereto6 colo7 palo, Carvoncelle8!

Sanctus Clemens
Duritia(m)9 cordis vestri(s)1é
saxa traere meruistis.

Sisinnio:
Figli di puttana, tirate!
Gosmario, Alberto, tirate!
Fa’ leva di dietro col palo, Carboncello!

San Clemente
Per la durezza del vostro cuore
meritaste di trainare sassi.


1 Fili: Figli. Va letto come l’italiano “figli”, in quanto la pronuncia del gruppo li già nel latino volgare del III sec. d.C. era gli, anche se la grafia del latino non forniva nessun mezzo per indicare tale gruppo.

2 de le pute: lett. delle puttane; la forma «de le« costituisce una preposizione articolata.

3 traite: tirate (è l’imperativo del verbo latino trahere).

4 Gosmari: vocativo che conserva la desinenza latina in -i.

5 Albertel: nome di origine barbarica.

6 Falite dereto: dal latino fac illi te de retro (lett: fai a lui te di dietro), con caduta della sillaba iniziale di «illi» (e successiva caduta della c davanti a l); cade anche la seconda r di «retro».

7 colo: con lo; preposizione articolata, dal latino cum illum, con caduta delle m finali di entrambe le parole e della sillaba iniziale di «illum», nonché trasformazione della vocale finale u in o.

8 Carvoncelle: nome proprio di origine latina, ma in uso nel dialetto di Roma.

9 Duritia(m): si tratta di un accusativo che però ha valore di ablativo causale.

10 vestri(s): la grafia con la consonante s è errata rispetto alla norma latina.


B17 - Analisi del testo
Quest’iscrizione, della fine dell’XI secolo, è ancora visibile nella cappella sotterranea della basilica di san Clemente a Roma. È contenuta in un affresco che, con tecnica quasi fumettistica, riproduce un episodio della vita del santo (I sec.). Il dipinto ritrae i servi del pagano Sisinnio che cercano di arrestare san Clemente per portarlo al martirio. Essi sono convinti di aver legato il santo, e il loro padrone li invita a trascinarlo. Ma in realtà stanno trascinando una pesante colonna: con un miracolo, infatti, san Clemente si è liberato delle catene beffando i suoi persecutori. Le parole latine del santo costituiscono un commento morale all’episodio. Esse trascendono la comicità della situazione, per istituire un parallelo tra la metaforica durezza dei cuori pagani e quella, reale, dei sassi che i servi di Sisinnio sono costretti a trascinare.

Livello lessicale, sintattico, stilistico
L’iscrizione presenta due registri linguistici ben definiti e contrapposti. Il pagano Sisinnio si rivolge ai servi in un linguaggio triviale, di tono plebeo (li apostrofa infatti come «fili de le pute»), ed usa il volgare. San Clemente, che sottolinea il significato morale del miracolo, si esprime invece in latino, anche se la grafia della lingua risulta errata rispetto alla norma classica.
I tratti che caratterizzano come volgare la lingua di Sisinnio sono:
- la caduta delle consonanti tipiche delle desinenze latine dei casi; l’espressione «colo palo» deriva, ad esempio, da «cum illum palum» (il latino tardo, infatti, aveva sostituito l’ablativo con l’accusativo; ciò spiega anche la forma «Sisinnium» in luogo del regolare «Sisinnius»);
- la trasformazione della u finale latina in o (per cui si ha «collo palo»);
- la presenza, in luogo delle desinenze, di preposizioni che indicano la funzione grammaticale dei nomi (es. «de le pute»: il latino avrebbe avuto il genitivo plurale);
- il passaggio di rb ad rv nel nome proprio «Carvoncelle», tipico del dialetto romanesco.
Permangono invece elementi latini nelle desinenze del vocativo nei nomi «Gosmari» e «Carvoncelle».
Il discorso di San Clemente presenta, come si è detto, alcuni errori rispetto alla norma classica. L’ablativo causale «duritia» diviene «duritiam» (sempre a causa del diffondersi indiscriminato dell’accusativo in luogo di tutti gli altri casi). Il genitivo «vestri» diventa «vestris» (forse per analogia con il sostantivo «cordis», che segue invece regolarmente la terza declinazione).

Livello tematico
La scelta di far parlare il pagano in volgare – scelta ovviamente anacronistica: l’affresco dell’XI secolo rappresenta una scena ambientata mille anni prima, quando le varietà linguistiche erano ben diverse – ha uno scopo ben preciso: serve a sottolineare la durezza dell’animo di Sisinnio, contrapposta alla santità di Clemente. Sisinnio, uomo dal cuore di sasso, nel dipinto è ritratto con la mano alzata in segno di comando, in atteggiamento energico e rude. Inoltre, egli si comporta da sciocco: sprona i suoi servi a trascinare un pesante carico, senza accorgersi che si tratta di una colonna e non del santo. Un autore moderno, probabilmente, avrebbe caratterizzato un personaggio del genere mettendogli in bocca espressioni dialettali. Ma il volgare, al tempo di questa iscrizione, era percepito appunto come un dialetto: ossia come una varietà linguistica minore, priva di autonoma dignità e quindi adeguata a personaggi di rango sociale (e morale) inferiore. L’iscrizione testimonia dunque dello scarso prestigio sociale rivestito dal volgare: esso poteva prestarsi a dar voce a personaggi “bassi” e “comici”, ma non aveva ancora raggiunto una autonoma dignità espressiva e letteraria.